RECENSIONE: LION di Davide Melini
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Lion non è soltanto un cortometraggio del genere horror, ma una storia straordinaria che travolge lo spettatore in un crescendo di azione e paura che si intrecciano a potenti simbologie. La scena ha inizio in uno chalet isolato nella montagna innevata. Un luogo, a contrasto con il freddo esterno, che dovrebbe evocare tutto il calore e la protezione del focolare domestico. Ma, come spesso accade, la realtà è ben diversa. Leon è un bambino di soli otto anni, dalla folta chioma bionda ma che si mostra allo spettatore con gli occhi tumefatti. Il padre è infatti un alcolizzato e la madre è una donna altrettanto violenta e incapace di ribellarsi.
Il piccolo Leon è appassionato di leoni, animali per antonomasia forti e liberi, simbolo di coraggio, nobiltà e orgoglio. Attraverso questa sua passione, tenta nel sogno la strada per vincere la sua triste quotidianità ed evadere verso un futuro migliore. Ma cosa succederebbe se i desideri diventassero realtà?
Il leone, incarnato da un pupazzo che stringe fra le braccia prima di addormentarsi e a cui chiede di aiutarlo a non essere picchiato ancora, diventa il deus ex machina che interviene a ristabilire l’ordine, simbolo del riscatto dei più deboli, costretti a subire le violenze dei più forti. Violenza che troppe volte rimane silenziosa e insinuandosi ovunque, anche nei luoghi più sperduti, o quelli che dovrebbero essere i più caldi e sicuri, come le mura domestiche.
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