Fade Out nello spazio brevissimo del suo minutaggio racconta una storia che si sviluppa sui contorni di ruoli e avvenimenti cangianti, che variano a ogni cambio di prospettiva – in dissolvenza, per l’appunto.
Marta rientra tardi a casa, saluta il vicino del piano di sotto, suona il campanello e aspetta che la coinquilina le apra. Sulla soglia, però, non appare lei ma un ragazzo che l’accoglie con disinvoltura. Alle sue spalle, la coinquilina di Marta giace a terra.
Questa scena grottesca cala immediatamente l’episodio nell’azione: Marta cerca di difendersi e poi corre a chiedere aiuto.
La confusione e l’incertezza si insinuano in fretta nello spettatore che, procedendo nella visione del corto, cerca di rimettere insieme i pezzi spaiati del puzzle a cui tuttavia sembra sempre mancare un elemento. È proprio questo – il contesto mai del tutto ricomposto, se non proprio alla fine – a privare tutti, personaggi e spettatori, della capacità di distinguere nemici e alleati, vittime e carnefici.
Quella raccontata in Fade Out è una storia che muta e si rovescia tutte le volte che si pensa di averne afferrato i contorni. Anche grazie al sostegno di una costruzione narrativa ben concepita che permette di realizzare una vera e propria “tragedia degli equivoci”, dentro e fuori da questo corto sono tutti egualmente ciechi.