SorrisoDiverso

Valutazione attuale: 4 / 5

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Francesco ripete ogni giorno i passi della sua routine mattutina: acquista il giornale, passeggia, si dirige al parco, si siede sulla stessa panchina e da lì osserva le persone, la vita che si svolge attorno a lui.

Il tempo della sua giornata è scomposto in istanti che sono cloni di quelli precedenti, che li riecheggiano. Meccanismo, questo, che sembra replicarsi, improvvisamente, sulle scene a cui assiste al parco, mentre osserva gli altri: il ragazzo in bicicletta che pedala e svolta l’angolo, per esempio, introduce un ricordo. Francesco torna indietro, ai tempi della sua infanzia, e si rivede piccolo, quando si dirigeva a casa in bici.

Lo stesso accade quando osserva il bambino che gioca a pallone, poco distante, che, guarda caso, si chiama come lui. In fondo non sembra affatto diverso dal ragazzino che era stato lui stesso, quando giocava a calcio da solo, sotto casa sua.

Le storie degli altri, all’improvviso, sembrano sovrapporsi ai frammenti della sua, quasi per effetto di una sorta di furto. Una strana angoscia si insinua nel protagonista, di fronte a queste coincidenze, alla geminazione incontrollata del suo tempo e della sua vita, persino del suo nome.

Il finale resta aperto alle interpretazioni: c’è dell’altro, ma questo altro avviene al di fuori dell’inquadratura.

Il gioco di sovrapposizioni scompone l’unità del racconto e lo ramifica, lo congiunge ad altre storie che si perdono altrove, lì dove lo schermo finisce.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Il personaggio di Maxim, che dà il titolo al cortometraggio, vive due condizioni tra loro estremamente diverse, ma che hanno il medesimo effetto di ostacolare le sue possibilità di esprimersi: sordità e omosessualità repressa.

Maxim vede molti dei possibili accessi alla vita e alle sue opportunità sbarrati da limitazioni che contribuiscono a fare della sua un’esistenza in bianco e nero. I contorni delle sue giornate si perdono nella ripetizione di pattern sempre uguali e nella solitudine delle stanze vuote.

Le ragioni di questo stallo risiedono, come spesso accade, nell’infanzia e nell’adolescenza: i suoi genitori hanno sempre guidato le scelte di Maxim con un atteggiamento severo ma soprattutto miope. Sono loro a instradare il figlio su un percorso di appiattimento non troppo lontano dall’annullamento vero e proprio, sono loro a dirgli quali colori sono accettabili e dignitosi e quali sono proibiti.

È un giorno qualsiasi quello in cui Maxim intraprende un percorso interiore, tra il ricordo di quelle spinte che hanno dato una certa direzione alla sua vita e l’esigenza di trovare la sua voce nell’universo di silenzio che lo opprime. Finché i colori non gli si rivelano e la rivelazione è sufficiente, perché dopo di essa non si può più pensare di tornare alle vecchie abitudini.

Non è un caso, infine, che con l’apertura verso una vita di possibilità finalmente accessibili, Maxim trovi anche la strada per il dialogo e per la comunicazione con il prossimo.

La colonna sonora accompagna l’intero corso del cortometraggio, senza che venga pronunciata una sola battuta, se non quelle mimate con le labbra o espresse in lingua dei segni; questa scelta corona un progetto pensato per parlare in senso ampio e completo di accessibilità, proponendo, insieme al linguaggio delle immagini, una comunicazione non verbale in musica agli udenti e ai non udenti una comunicazione verbale, affidata al segno.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Valutazione attuale: 5 / 5

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Martino è un ragazzo che vive in un brutto quartiere, tra spaccio, piccoli furti e scontri violenti. Per poter supportare la sua famiglia è obbligato a mettersi su una cattiva strada, fin quando voltarsi per tornare sui propri passi non diventa una prospettiva impossibile. Solo i privilegiati hanno possibilità di scelta.

Il padre di Martino viene arrestato quando lui è soltanto un bambino, sua madre accetta lavori umili per mantenere la famiglia e il ragazzo cresce con la convinzione che per poter sopravvivere non può fare altro che adeguarsi a un ambiente spietato, in cui le regole della società civile vengono meno. In questo ambiente il codice di comportamento cambia di segno ed emerge una società nella società: quella della strada.

Ad ascoltare questa storia è lo psicologo del ragazzo, un uomo che all’inizio non riesce a pronunciare una parola senza scontrarsi con la diffidenza di Martino, mascherata da spavalderia. Eppure Martino si racconta e lo fa ritraendosi a tinte crude, pur insistendo di essere un bravo ragazzo.

Martino sostiene di non avere scelta, che non esista un modo per cambiare il tragitto che ormai ha imboccato. Ma quando, spinto dallo psicologo, volge lo sguardo alla destinazione – meglio ancora, la deriva – di quel percorso, realizza quanto questo genere di strada conduca matematicamente a un unico esito: passare il testimone della propria sofferenza, mettere qualcun altro, dopo di sé, sulla stessa strada obbligata in cui mano a mano il futuro viene reciso un sogno alla volta.

La rivelazione finale viene affidata a un montaggio ragionato che attraverso l’espediente del flashback, inserito due volte all’interno del corto, permette di far saltare il punto di vista da una prospettiva a un’altra, dal passato al futuro.