SorrisoDiverso

RECENSIONE: MAXIM di Deborah Donadio

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Il personaggio di Maxim, che dà il titolo al cortometraggio, vive due condizioni tra loro estremamente diverse, ma che hanno il medesimo effetto di ostacolare le sue possibilità di esprimersi: sordità e omosessualità repressa.

Maxim vede molti dei possibili accessi alla vita e alle sue opportunità sbarrati da limitazioni che contribuiscono a fare della sua un’esistenza in bianco e nero. I contorni delle sue giornate si perdono nella ripetizione di pattern sempre uguali e nella solitudine delle stanze vuote.

Le ragioni di questo stallo risiedono, come spesso accade, nell’infanzia e nell’adolescenza: i suoi genitori hanno sempre guidato le scelte di Maxim con un atteggiamento severo ma soprattutto miope. Sono loro a instradare il figlio su un percorso di appiattimento non troppo lontano dall’annullamento vero e proprio, sono loro a dirgli quali colori sono accettabili e dignitosi e quali sono proibiti.

È un giorno qualsiasi quello in cui Maxim intraprende un percorso interiore, tra il ricordo di quelle spinte che hanno dato una certa direzione alla sua vita e l’esigenza di trovare la sua voce nell’universo di silenzio che lo opprime. Finché i colori non gli si rivelano e la rivelazione è sufficiente, perché dopo di essa non si può più pensare di tornare alle vecchie abitudini.

Non è un caso, infine, che con l’apertura verso una vita di possibilità finalmente accessibili, Maxim trovi anche la strada per il dialogo e per la comunicazione con il prossimo.

La colonna sonora accompagna l’intero corso del cortometraggio, senza che venga pronunciata una sola battuta, se non quelle mimate con le labbra o espresse in lingua dei segni; questa scelta corona un progetto pensato per parlare in senso ampio e completo di accessibilità, proponendo, insieme al linguaggio delle immagini, una comunicazione non verbale in musica agli udenti e ai non udenti una comunicazione verbale, affidata al segno.