SorrisoDiverso

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Di Paola Tassone

 

E’ interessante scoprire come Emiliano Mazzenga, giovane compositore italiano di origini romane, ora residente a Los Angeles, sia riuscito a far parlare di se per il suo contributo al cinema attraverso la sua musica, non solo in America, anche in Europa e Asia.

Ha iniziato da bambino a suonare il pianoforte. Il sax si è aggiunto durante il liceo. Già dai suoi primi anni di attività musicale da sassofonista il suo destino si è legato al mondo del cinema. Ancora giovanissimo fu invitato a suonare durante due edizioni del prestigioso Festival Internazionale del Film Corto “Tulipani di Seta Nera”. Poi i concerti “Jazz a Cinecittà” con l’orchestra di Marco Tiso e “Il Jazz va al Cinema” con la New Talents Jazz Orchestra di Mario Corvini in alcuni dei più importanti auditorium e teatri italiani. In quegli anni Emiliano ha scritto le prime colonne sonore per il teatro e ricordando quelle prime esperienze dice ‘L’emozione di sentire la mia musica raccontare una storia insieme agli attori sul palco ha fatto scattare qualcosa di forte e irreversibile dentro di me. In quel momento ho capito e sentito che quella del compositore sarebbe stata la mia strada’.

Vedendolo oggi ad Hollywood apprezzato da registi e colleghi ricevere numerosi premi per le sue colonne sonore, possiamo dire che non si sbagliava.

Dopo aver completato il prestigioso Master di musica da film alla University of Southern California ora viene chiamato e scelto da registi importanti da più parti del mondo per contribuire ai loro film.

In brevissimo tempo ha raggiunto incredibili risultati in terra straniera. Ha completato le musiche per il lungometraggio ‘Eli Moran’ con attori protagonisti David Zayas (Dexter, Gotham) e Reynaldo Piniella (Broken City, Sneaky Pete). Le sue musiche per i lavori fatti col regista indiano Kabeer Khurana possono essere sentite su Disney + Hotstar e Amazon Prime ed è stato di recente ingaggiato per scrivere le musiche del lungometraggio brasiliano ‘Lacuna’.

Alla domanda se ci fossero altre novità ci racconta che è stato invitato dall’ Università ‘Roma 3’ a parlare l’8 Febbraio da remoto con gli studenti della sua più grande passione: La musica da film.

 

 

 

 

 

 

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1. "Buñuel nel labirinto delle tartarughe" di Salvador Simó: un azzardo coraggioso e prezioso come il documentario di cui ricostruisce la realizzazione; e come il maestro che lo aveva diretto, unico regista surrealista, là più che mai alle prese con una realtà che lo trascendeva e alla quale egli, nonostante ciò, mai abdicava.

2. "Cosa sarà" di Francesco Bruni: un'odissea privata, indicibile eppur esemplare, una delicata girandola di emozioni.

3. "L'incredibile storia de L'Isola delle Rose" di Sydney Sibilla: l'articolata e trascinante costruzione di un sogno, una utopia spezzata e illuminante, l'ennesimo successo di uno dei pochi registi italiani capaci di trasformare l'intrattenimento in autorialità.

4. "Hammamet" di Gianni Amelio: la crepuscolare trasfigurazione di un angolo della nostra storia, una ipnotica immedesimazione che, nell'inesausto dialogo tra interprete e personaggio, lascia emergere una disarmante umanità che va oltre qualsiasi valutazione storico-politica.

5. "Palm Springs" di Max Barbakow: un "Ricomincio da capo" espanso, scannerizzato, sintonizzato sull'egocentrico e divertito disincanto del terzo millennio.

6. "Undine" di Christian Petzold: una leggenda acquatica calata dentro una storia d'amore contemporanea, assoluta e beneficamente disorientante.

7. "Tenet" di Christopher Nolan: nuova immersione ipertrofica nei paradossi di scienza e coscienza di un regista che costruisce mirabolanti castelli mentali e spettacolari, sacrificando (inevitabilmente?) silenzio e mistero.

8. "Roubaix, une lumière" di Arnaud Desplechin: "Delitto e castigo" nella periferia francese, con il peso dei protagonisti capovolto attorno all'anziana assassinata, l'omicida sdoppiato e ridimensionato e l'investigatore esteso su tutto il racconto, super-occhio e voce di coscienze al margine.

9. "Lontano lontano" di Gianni Di Gregorio: una fuga improvvisata e trattenuta, un road movie a passo d'uomo, la ricognizione sottile e garbata di tre esistenze sospese tra lo scontato crepuscolo e una nuova alba inattesa.

10. "L'hotel degli amori smarriti" di Christophe Honoré: ricordi materializzati e spiazzanti dentro stanze della memoria che chiamano alla rinascita l'intensa protagonista e il suo umbratile ma tenace marito.

 

 

 

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HAMMAMET di GIANNI AMELIO

Amelio affronta una pagina controversa della Storia d'Italia. Si concentra sulla dimensione umana di Craxi e su quella scespiriana e kafkiana della sua storia pubblica.

L’autore si assume il rischio di un racconto nevralgico e provocatorio, affidandosi a un grande Favino che immortala la conflittualità di un'ideologia politica sempre più incerta e svuotata di identità e memoria.

La discesa crepuscolare di un uomo dominato da pulsioni contrapposte. Un Craxi più vero del vero in un film biografico e drammatico, epilogo della vicenda umana e politica di Bettino Craxi.

GLI ANNI PIÙ BELLI di GABRIELE MUCCINO

Un dovuto affresco generazionale al periodo storico che precede gli anni dei grandi ribaltamenti fino alle attuali incertezze. Viene immortalata la memoria dell'ultimo testimone del 'sogno', quella capacità di proiettarsi verso il futuro recuperando la memoria del passato.

Il commovente ritratto di una generazione che Muccino sa mettere a fuoco con una compiutezza senza uguali.  La storia di quattro amici raccontata nell'arco di quarant'anni, dal 1980 ad oggi, dall'adolescenza all'età adulta.  E alla fine ci si commuove profondamente, si riflette su dove siamo e perché, e su quali siano "le cose belle" cui stare attaccati quando il mondo intorno ci tradisce.

VOLEVO NASCONDERMI di GIORGIO DIRITTI

La vita del pittore Antonio Ligabue, uno dei maestri e protagonisti fondamentali dell'arte contemporanea internazionale.

Era difficile sfidare il Ligabue interpretato da Flavio Bucci. Il genio folle in quel ritratto di fine anni settanta si arricchisce di nuove sfumature  nel racconto universale del disagio sociale.   Il deriso protagonista  offre uno spaccato di interiorità in cui genialità e follia si spingono oltre le derive del conflitto per dare vita a una nuova e incompresa armonia.

Elio Germano fa suo Ligabue, il suo genio, il suo tormento, la sua profonda sofferenza interiore.  L’interprete ha saputo fare suo Ligabue, offrendo un ritratto di profonda sofferenza interiore. Il regista non giudica ma neppure assolve i tanti che, per ignoranza o insensibilità, mettevano alla berlina il matto e ne disprezzavano l'opera. Così come sa inquadrare con tenerezza i pochi che seppero comprenderne il tormento, ma anche la grandezza.

TOLO TOLO di CHECCO ZALONE

Checco Zalone si mantiene in equilibrio sul crinale della correttezza politica, colpendo a 360°. Stavolta non è solo interprete e sceneggiatore (insieme a Virzì) ma anche regista, e si vede, perché la sua direzione è pirotecnica come la sua vis comica. Man mano che la storia prende ritmo, si comincia a ridere davvero. In Tolo Tolo ce n'è per tutti: politici incapaci dalle vertiginose carriere, migranti innamorati delle griffe, buonisti e nostalgici mussoliniani. Nella sua rappresentazione a tutto tondo dell'italiano medio, Checco è uno specchio rivolto verso lo spettatore, il punto di contatto fra meschinità private e pubbliche ideologie.

 MISS MARX di SUSANNA NICCHIARELLI

La Nicchiarelli si muove con sapienza registica su un doppio binario per raccontare il personaggio vivissimo e complesso di Eleanor “Tussy” Marx, erede morale di Karl, divisa tra il fervore nella lotta all'ideologia patriarcale e la difficoltà del trovarsi ad affermare le stesse idee nel privato di una relazione tossica. Raccontata nella sua passione e nei suoi tormenti, fino al 1898, quando, persa ogni energia e ormai dipendente da oppio Eleanor Marx muore suicida, ma vittima del patriarcato.

ARTEMISIA GENTILESCHI: PITTRICE GUERRIERA di JORDAN RIVER

Tra le prime donne della storia a combattere contro cliché e discriminazioni di genere per affermarsi professionalmente in un mondo – come quello dell’arte – allora dominato dalla sola presenza maschile, un simbolo della lotta contro la violenza sulle donne per lo stupro subito dal collega Agostino Tassi e il coraggio con cui la pittrice affrontò il turbolento processo, terminato con la condanna di Tassi. Un'icona della storia dell'arte e non solo, che Jordan River racconta nella sua straordinaria dimensione interiore, rendendo giustizia, prima che omaggio, a questa eroina senza tempo.

MAGARI di GINEVRA ELKANN

Opera Prima della  Elkann. Un racconto di formazione poetico e originale. Le vicende di una famiglia coi suoi contrasti e le sue contraddizioni viste attraverso gli occhi di tre fratelli, divisi tra la disciplina di una madre altoborghese e l'anticonformismo di un padre sopra le righe. Il film è la stessa regista che lo descrive come “un film intimo, di emozioni che parla di piccole cose della vita che disegnano e ti fanno diventare l’adulto che sei”. Il lessico familiare secondo Ginevra Elkann, dalle tinte delicate ma potentissime.

I PREDATORI di PIETRO CASTELLITTO

Un debutto interessante che interseca molteplici linee narrative e si misura a testa alta con i registri tipici della commedia all'italiana.

Due famiglie di estrazione sociale diversa si incontrano e si scontrano nella giungla metropolitana romana densa di avvenimenti  controversi .  Pierpaolo è un medico sposato con Ludovica, affermata regista. Il loro figlio Federico è un laureando in filosofia tiranneggiato da un barone universitario che gli preferisce qualunque altro studente. Le loro vicende si incrociano con quelle di Bruno, primario amico di Pierpaolo, e di sua moglie Gaia, nonché con quelle di Claudio e Carlo, due fratelli che gestiscono un'armeria e fanno parte di un gruppo neofascista. Completano il quadro le moglie i figli di Carlo e Claudio, e un sulfureo personaggio che resterà (di fatto) innominato e che compare solo all'inizio e alla fine.

FIGLI di GIUSEPPE BONITO

La quotidiana lotta per la sopravvivenza delle coppie con figli in un'Italia, e un'epoca, dove tutto sembra remare contro.

Il film è tratto dal monologo recitato da Valerio Mastandrea e scritto da Mattia Torre "I figli ti invecchiano".

Nicola e Sara hanno scoperto a loro spese uno dei segreti della contemporaneità: fare il secondo figlio, nell'Italia della natalità zero e della precarietà come regola di vita, rischia di innescare una bomba a orologeria. Che fare allora quando tutto quello che vorresti è abbandonare il campo?

Mattia Torre, alla sua ultima sceneggiatura, fa i conti con uno dei grandi problemi del presente, di cui il cinema parla pochissimo: la quotidiana lotta per la sopravvivenza delle coppie in una nazione dove sembra che tutto cospiri contro il nucleo familiare. Come sempre Torre racconta la sua generazione con precisione e attenzione ai dettagli e il regista prende in mano la sceneggiatura con rispetto.

18 REGALI di FRANCESCO AMATO

Un rapporto madre-figlia, capace di sfidare anche la morte.

Ispirandosi alla vera storia di  Elisa Girotto, Amato fa del suo meglio per evitare le trappole del pietismo e della lacrima gratuita, cercando strade meno convenzionali. E sceglie di imprimere alla sua storia il tono disincantato dell’adolescente che ne è protagonista , e Benedetta Porcaroli entra bene in quell’attegiamento strafottente, come pure credibile risulta Vittoria Puccini.

18 regali fa la scelta coraggiosa di raccontare un rapporto madre-figlia in tutta la sua amorevole conflittualità.