SorrisoDiverso

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Harrag di Smail Beldjelalia

Harrag LocandinaClandestini. La vita errante di chi non ha colpe. La fuga via mare, la vita da perseguitati, clandestini senza meta. Vogliono solo vivere in pace, lavorare e magari dimostrare ai familiari che stanno meglio di quando sono partiti. Il dolore di una madre che non vuole vedere partire il figlio, che comunque tenta la navigazione mediterranea a rischio della vita: la confessione del giovane algerino, sfuggito dalla povertà dopo aver perso il suo lavoro, resta una sequenza assai commovente del film, ripresa con toni caravaggeschi. La sua voglia di affermarsi, di crescere e ricambiare l’amore materno, di vivere con onestà. È un film alquanto riflessivo, sulla sorte degli invisibili che vagano sulle nostre strade, nelle periferie, anche nei piccoli centri. Loro sono qui e non vogliono ritornare indietro da sconfitti, nonostante la forza affettiva sia sempre un richiamo come sirene. La loro tenacia riflette la stessa che ebbe Nino Garofali (Manfredi) nel finale del capolavoro Pane e cioccolata di Brusati.

 

Il direttore di Maurizio Orlandi

Il Direttore LocandinaÈ un film che documenta gli anni delle lotte nella Torino operaia anni ‘70, città in grado di metabolizzare non senza traumi i fermenti di un Paese in cerca di identità, di autocoscienza, fra battaglie sindacali e frange autonome che si sono poi sviluppate nella clandestina lotta armata. La storia del direttore della azienda toscana in Piemonte è il riflesso di un uomo perbene che diventa importante anche nei rapporti di lavoro e in famiglia. Una lettura filmica rigorosa e accorta ci accompagna sulle orme di Albo Orlandi, che era il padre del regista. Era nato a Gavorrano, nella Maremma toscana, dove faceva l’impiegato nella miniera di pirite della Montecatini, poi divenuta Montedison. Nel 1969, verrà trasferito alla Farmitalia di Settimo Torinese, come Direttore del personale. Il regista racconta, con la tenerezza di un album di famiglia, la capacità (parallela) di un Paese di reagire e fare proprie le inquietudini palesi, in quel decennio difficile. Di certo, non è semplice “fare pace” dopo mezzo secolo con esistenze che, alla lunga, si guarderanno con più rimpianti che esultanze. Di certo quella storia si riflette con quella di una comunità nazionale che ha gradualmente abbassato ogni fervida tensione morale e civile, quella sì, vittima di un presente politico per nulla edificante, se non da abiurare.

 

Libertà di Savino Carbone 

Libertà LocandinaLibertà di Savino Carbone. Siamo a Bari, nei mesi scorsi. Il quartiere di riferimento si chiama proprio Libertà. E stranamente confligge con il concetto stesso di essere liberi. Da cosa? Qual è il suo significato oggi? L’occhio attento del regista Savino Carbone segue i percorsi distinti di due migranti, un ragazzo ed una ragazza, con una caratteristica discriminante in più: sono omosessuali. Forse per la prima volta viene affrontata questa problematica che va ad aggiungersi alle altre. La loro condizione di richiedenti asilo in Italia diventa oltremodo insuperabile. Le due vite parallele, dopo aver lasciato con mezzi di fortuna (si fa per dire) il Senegal e la Nigeria, arrivano da noi e vagano per strade a loro ignote. Sono qui per sfuggire alle persecuzioni contro la comunità LGBT. Nei due paesi, infatti, l’omosessualità è un reato punito con il carcere e dove vige la Shari’a, la lapidazione. E poi la Libia, da dove partono i barconi, ritenuto “paese di morte!” è semplicemente tenera la confessione dei due migranti quando mettono a nudo la propria intima sessualità, con il timore di esprimerla. Mentre i due vivono in una sorta di sospensione esistenziale, in Italia iniziano a manifestarsi gli effetti tragici dei decreti sicurezza voluti dalla Lega. La dignità di due quei giovani stride contro l’arroganza e l’opulenza di politicanti che non la meritano e la ostentano nelle sconfortanti apparizioni televisive. La loro sorte ci lascia carpire quanto importante sia vivere in un paese libero (il nostro, pur con tutti i suoi difetti), e chi invece proviene da dittature ataviche, cui l’Occidente non è esente da colpe.

 

Niños Maya di Veronica Succi 

Ninos Maya LocandinaVeronica Succi con il suo straordinario viaggio fra i “Niños May”, rivolge un carezzevole sguardo all’infanzia talvolta violata dei bambini e degli adolescenti fra quelle popolazioni ancora poco sfiorate dalla “civiltà”. Mondo Maya, Latino America, nel quale la civiltà precolombiana aveva maggiore rispetto per i minori e per le donne. È talvolta uno sguardo di madre o di fratello maggiore, mentre l’occhio della camera scruta ogni particolare, nei gesti spontanei dei bambini, un po’ imbarazzati dalla nuova situazione: essere ripresi in un attimo di protagonismo in una storia che forse non interessa a nessuno, oltre quei luoghi remoti e bellissimi. È pertanto un film necessario questo della Succi, mentre osserva la gioia negli occhi dei bambini Maya e con un invito solidale e umanitario, volto a migliorare le condizioni dell’infanzia di quel mondo violato. Questo documentario è dedicato a tutti i bambini incontrati durante le riprese e, in particolar modo, a coloro che non ci sono più. È un film commovente.

 

Sisterhood di Domiziana De Fulvio

Sisterhood LocandinaSi intrecciano idealmente, pur vivendo in parallelo, le vite di ragazze che amano il Basket, quale momento di confronto e di aggregazione. L’attenta e serrata regia di Domiziana De Fulvio ci conduce nei campi di basket urbani, da Beirut a Roma e fino New York. Le immagini nitide e non convenzionali ci mostrano come le ragazze sfidino il loro tempo, la loro quotidianità per rendersi partecipi di un gioco che poi no n è solo un gioco: è metafora di aggregazione e di accoglienza, di solidarietà e di armonia dei corpi. Che indossino l’hijab oppure no, che siano bianche o di colore, che siano giovanissime o meno, tutte giocano e affrontano a viso aperto la quotidiana guerra non scritta verso gli stereotipi di genere, discriminanti e socialmente pericolosi. La partita in gioco è fare un canestro in più, arricchire il conto con il tabellone della vita.

 

Vuoto a perdere di Alfio D’Agata

Vuoto a perdere LocandinaFanno tutte e tutti una profonda tenerezza. Alfio D’Agata, nel suo “Vuoto a perdere” consegna una visione diversa di trattare la diversità. Le storie raccontate da Alessia, da Angela, da Mara, Masha, da Gaetano e Dalila creano un alone di rimorso verso quanti spesso discriminiamo, da parte di chi, sentendosi “normale”, rivolge loro uno sguardo obliquo, distorto quasi, sprezzante spesso. Alfio D’Agata fa un’operazione di quelle non facili in una Sicilia ancorata come da tradizione ad un mito di maschio che non lascia scampo ad equivoci. La sua incisiva visione svolge un ruolo fra il terapeutico e l’ammaliante: una liturgia che diventa preghiera, che evoca indulgenza. E così, il film scorre con un crescendo di ansiosa perspicacia carezzando quelle persone, qualcuna chiede addirittura perdono, a Dio e al mondo. Quando saremmo invece noi a chiedergli perdono. Un film da trasmettere soprattutto a quanti si sentono padroni del mondo e della vita degli altri. Film coraggioso.

 

 

 

 

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Acustico di Valerio Matteu, artista Veronica

Acustico LocandinaVeronica canta, canta di bianco vestita, canta un testo tutto sommato abbastanza facile, quasi elementare, e il suo bianco, forse è la stagione, ci ricorda il clima festoso di una prima comunione festeggiata in famiglia nel bel mezzo di un bel giardino. Tutto è molto facile e lineare, e in fondo anche la Veronica in abito da sera rosso con i lustrini non evoca femmine peccaminose.  Eppure la sua voce non riesce a raggiungere la mente di quel bel volto maschile, lo sguardo puro ma perso in un infinito solo suo. Le orecchie sono chiuse nella cuffia della malattia e della sofferenza. Tema difficilissimo, quello dell’autismo, trattato con delicatezza, direi col pudore e il rispetto che ogni malattia merita. Molti primi piani su un bel volto. Mentre il frastuono del traffico ci ricorda l’affannarsi di una società nella quale il frastuono ci impedisce di capire e accogliere le molte grida di chi chiede invano il nostro aiuto.

 

Etica Peletica di Antonella Barbera e Fabio Leone, artista Davide Campisi  

Etica peletica locandinaÈ il trionfo dell’intelligenza. Come ottenere il massimo risultato col minimo sforzo. Ovvero come fare un piccolo capolavoro in famiglia, trasformando il nonsense di una filastrocca in un mantra degno di monaci tibetani allegri che cantando in coro e trasmettono pace interiore, ma soprattutto gioia di vivere. Una inusuale ninna nanna, con parole in buona parte inventate che, giocando sulle assonanze, si ripetono sempre uguali al suono del battito delle mani, in un vortice di sorrisi, bocche, volti di bambini e adulti, lampi di luce con la magia del bianco e nero, luce-buio-luce-buio-luce-buio-per poi perdersi tutti nel sonno dell’innocenza ripetendo all’infinito “etica peletica, etica peletica...”. Notazione a latere: Averne di padri così!

 

 

Fragile di Emiliano Leone e Max Nardari, artista Max Nardari

Fragile LocandinaUn agghiacciante, crudo, realistico film di guerra. Realizzato con grande maestria e con largo uso di mezzi ed effetti speciali. Versione aggiornata de “La guerra dei mondi”, dove l’alieno venuto dallo spazio è il misterioso virus portato dal pipistrello nero che non è il Batman salvatore di Gotham City, ma il demone che infetta. Anche questa guerra, come quasi ogni guerra, vuole i buoni e i cattivi. I cattivi, il cattivo nel nostro caso, è il mostro che cresce, occupa lo schermo, protende i suoi tentacoli come tanti funghi velenosi sulla superficie sferica, e attacca i nostri polmoni lasciando una scia di devastazione e di morte. Compare anche un minaccioso elicottero che immediatamente riporta al clima cupo della cavalcata delle Valchirie in Apocalipse Now.  Il cattivo mette i brividi, i buoni commuovono, novelli John Wayne, con le mascherine e le flebo al posto dei fucili e dei cannoni. I morti, nudi, giacciono sul lettino d’ospedale. La musica non è però violenta. Anzi, quasi dolce con un motivo facile cantato con. È la nostra guerra, il Covid 19. Il pipistrello cade sconfitto, per ora. Ritornerà a volare?

 

Hey di Iaca Studio, artista Vasco Barbieri

Hey LocandinaAttento uomo, hey, stai attento! Un grido ripetuto continuamente, dopo ogni frase, quasi una implorazione, mentre l’uomo cammina, mentre noi camminiamo in un deserto di solitudine. Le immagini che accompagnano il grido sono quelle di una sapiente quanto essenziale animazione, i colori sono tenui, il paesaggio dolce, mentre le parole sono forti, scandite da una bella voce e da una musica che finalmente è musica e non rumore. Il pianoforte si impone per le grandi e profonde sonorità che riesce a esprimere e fa venire alla mente le grandi pagine classiche. È la metafora della vita, quella passeggiata nel deserto, e va diritta al cuore e alla mente. Siamo in viaggio, ci canta Vasco Barbieri, con una voce garbata ma decisa, fermiamoci a riflettere, prima di riprendere il viaggio dalla destinazione ignota.

 

Libertà di Gianni Cannizzo, artista Peppe Lana

Libertà locandinaSi può dire che è un grande, corto capolavoro? Certamente un prodotto raro che non può non imporsi nella memoria di chi ha la fortuna di vederlo. Un raffinatissimo, intelligente, coinvolgente squarcio di genio col quale è quasi impossibile non usare i superlativi. È un gioco di specchi-inevitabile usare il pur abusato attributo “pirandelliano” dato che gli autori sono giovanissimi siciliani- che frastorna per il repentino e continuo cambio di linguaggio. È teatro dei burattini, ma i burattini hanno le sembianze dei burattinai, personaggi stralunati che agiscono in un teatro fatto di carta dai burattini-burattinai, Pinocchi che diventano umani. Peppe Lana, non certo una scoperta dell’ultima ora, conferma la sua maturità artistica con una canzone orecchiabile che potrebbe, e certamente potrà, vivere di vita propria.

 

 

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Briganti di Bruno e Fabrizio Urso

Briganti LocandinaLibrino è un quartiere periferico di Catania. Uno dei non pochi esperimenti urbanistici falliti. Negli anni ’60 fu chiamato l’archistar giapponese Kenzo Tange a progettare quello che doveva essere una sorta di città satellite d’avanguardia. Presto è diventata area di degrado, umano, prima che fisico. Librino è assurto ai clamori della cronaca per fatti tutt’alto che commendevoli. La storia, vera, della squadra di rugby, sia maschile che femminile, chiamata “Briganti” è davvero edificante. Nata sull’idea di uno degli allenatori-animatori volontari: “l’idea era di creare una filosofia di ribellione a questo stereotipo di Librino come quartiere della illegalità. Ed in effetti la squadra agonistica ha tolto dalla strada un gran numero di ragazzi. Ha dato loro uno scopo ed una speranza nella vita, invertendo lo stereotipo della strada segnata, senza possibilità di redenzione. Naturalmente ha dato fastidio a chi si è visto sottrarre manodopera potenziale ai propri affari loschi. E nel 2018 la clubhouse della squadra è stata data alle fiamme. Ma una straordinaria risposta di solidarietà l’ha fatta ricostruire l’anno dopo. Ed il progetto prosegue. Formidabile la storia, formidabile l’avvincente film che la racconta.

 

Serendip di Marco Napoli

Serendip LocandinaDiario di viaggio filmato, scandito in 5 capitoli: 1. Vision, 2. Roots, 3. Voices, 4. Choices, 5. Serendipity. Il titolo, Serendipity, che deriva da Serendip, l'antico nome persiano dello Sri Lanka, trova una magnifica definizione nel finale del film: “fortunata coincidenza di trovare qualcosa di meraviglioso mentre stai cecando qualcos’altro”. Metafora magnifica del significato più profondo di questa avventura di bellissima solidarietà. Se durante il viaggio il film rasenta il rischio della retorica, il bagno finale con i tanti bambini dell’antica Ceylon tocca le corde dell’anima e del cuore in modo irresistibile.

 

 

 

Solidarity Crime. The Borders of Democracy di Nicolas Braguinsky Cascini e Juan P. Aris Escarcena

Solidarity Crime LocandinaLa frase posta ad esergo iniziale del film è densa di significato: “All’inizio erano i migranti. Poi le persone solidali. Chi sarà il prossimo a perdere i diritti?”. È proprio questo il tema: i diritti.   La dichiarazione universale dei diritti umani è un documento sui diritti della persona, adottato dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nella sua terza sessione, il 10 dicembre 1948 a Parigi con la risoluzione 219077A. Sembra che proprio nessuno se ne ricordi. In particolare dell’Articolo 13, che recita, testualmente: “Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese”. Si applica a tutti gli esseri umani. Con una sola eccezione, la “sottospecie” migrante. Perché gli stati (la “s” minuscola non è un errore di dattilografia…) sono arrivati a non rispettare nemmeno le leggi che si sono dati. E criminalizzano coloro i quali invece tali leggi vorrebbero far rispettare ed attuare. I cosiddetti “solidali”. Che vengono incriminati e incarcerati. Questo film lo racconta come meglio non si potrebbe. Un film che ti fa indignare ed arrabbiare. Un film inoppugnabile. Urgente e necessario. Che andrebbe fatto vedere nelle scuole di ogni genere e grado. Il film chiude con un esergo finale al livello del capolavoro assoluto che è: “La paura si crea recidendo i legami di solidarietà. Rompi l’isolamento. Fai circolare queste informazioni”. È proprio questo che sta facendo la splendida selezione di Mimmo Calopresti per Tulipani di Seta Nera. È questo che dovremmo fare tutti.

 

Thunder’s five Milano di Jacopo Benini

THUNDERS FIVE MILANO LocandinaA4Quando ad uno degli allenatori esperti hanno proposto di costruire una squadra di baseball per ciechi, ha pensato fosse uno scherzo. Si è dovuto ricredere. E dopo 20 anni è ancora lì a lavorare come volontario accanito. In pochi anni la Thunder’s Five Milano ha vinto tutto quello che si poteva vincere. La richiesta di partecipazione da parte dei non vedenti milanesi era talmente ampia che hanno dovuto creare una seconda squadra, e l’hanno chiamata “Fulmini”. Manco a dirlo, di lì a poco la finale del campionato italiano di categoria è stata tra “Tuoni” e “Fulmini”. Il racconto è entusiasmante e coinvolgente. Anche se un minimo di spiegazione tecnica su come questo miracolo sia possibile, avrebbe favorito gli spettatori “nomo vedenti” ad essere più partecipi. 

 

 

SEZIONE CORTOMETRAGGI

Critiche di Catello Masullo

 

Custode di Pablo Arreba

Custode LocandinaQuesto film parla di AMORE e di tutte le sue variabili. Gioca con le diverse sessualità ma dalla visione di due personaggi profondamente innamorati. Parla dei diversi modi di avere un partner, con i toni del realismo magico, per far riflettere sull’assunto che non esiste una sessualità "corretta" (ex eterosessualità) e altre scorrette. Tutte sono valide e ogni volta ne compaiono di nuove con nomi molto curiosi (greysexual, pansexual, polyamory, ecc.). Il film presenta l'omosessualità come se fosse l'eterosessualità o la sessualità più diffusa e “accettata”, un capovolgimento che ci induce a riflettere su temi molto importanti e profondi per la società di oggi. Lo fa con profonda ironia e gustosa rappresentazione. Con soli due, straordinari protagonisti, ed un unico luogo. Magistrale.

 

L’affitto di Antonio Miorin

LAFFITTO LocandinaLa intensità e la densità del film è tutto nei due sorrisi delle protagoniste, Luisa Ranieri  e Yuliya Mayarchuk. Così profondamente diversi. Un sorriso solare, soddisfatto e rassicurante quello della Mayarchuk, quando dice: “…io non ho mai avuto problemi, mai un aborto, a me sempre tutto bene, tutto naturale. Un sorriso amarissimo quello della Ranieri, quando le risponde: “naturale… io ho otto fecondazioni fallite e una gravidanza biochimica, niente di naturale!”. Ma è questione di un attimo. I due sguardi si incrociano ancora, e i due sorrisi diventano alla fine simili, quasi contagiati dai neuroni specchio. Sorrisi che sono ora di complicità e di solidarietà. Ad aprire uno squarcio di luce in un futuro più radioso per entrambe. Il 38enne di Scafati Antonio Miorin mette in scena con maestria lo script di deliziosa sensibilità femminile di Iole Masucci. Gioca sapientemente sull’equivoco del contratto in via di stipula, per traghettare lo spettatore verso il colpo di scena finale. Stellari le interpretazioni.

 

Learning to lose di Sergio Milan

Learning to Lose LocandinaUn turbinio di intense emozioni avvolgono lo spettatore in soli cinque minuti di capolavoro cinematografico. Una storia vera, che vede nel ruolo della nipote protagonista la vera ragazza che l’ha vissuta, Beatrix Melgares. Donando al film un senso di verità e di autenticità insuperabile.  Sergio Milàn, che ha scritto e diretto, coglie l’essenza della trasmissione del sapere e del saper vivere, del sentimento e dell’amore disinteressato sublimato, che si trasmette dal nonno alla nipote. L’insegnamento supremo dell’arte di saper perdere, come strumento di crescita e di formazione. Bellissimo il respiro sincronizzato tra nipote e nonno che sta esalando i suoi ultimi, a testimoniare un legame indissolubile, un diapason all’unisono. Formidabile la lacrima di esergo finale di Beatrix, allo stesso tempo di dolore e di felicità.

 

Mi chiamavo Eva di Miriam Previati

Mi chiamavo Eva LocandinaIl film ha il merito di sollevare un tema che diventa ogni giorno che passa socialmente sempre più rilevante. Con rapide ed efficaci pennellate mette in luce con efficacia tutte le componenti essenziali del fenomeno: la comprensibile ingenuità nel credere che le immagini estorte con l’inganno possano restare nelle intimità falsamente promessa, la cinica, violenta, criminale premeditazione dell’ingannatore, lo stigma sociale che si fonda su pregiudizi atavici e che si manifesta con un bigottismo estremista che non concede nulla alla comprensione ed alla umana solidarietà. Il film denota un buon governo del mezzo espressivo, uno sguardo originale e promettenti capacità attoriali, oltre che autoriali, della autrice, regista, protagonista, montatrice, soggettista e sceneggiatrice Miriam Previati, ferrarese di origine, ma romana d’adozione.