SorrisoDiverso

Valutazione attuale: 5 / 5

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La delicata regia di Antonio Passaro regala allo spettatore un viaggio emozionante percorso di volata, con Baby Bird. In otto minuti di cortometraggio, l’autore condensa i giorni felici di una quotidianità rivivificata dall’affetto e dalla compagnia. Una gioia che il protagonista, il coinvolgente Gerardo Caputo, riscopre dopo averla seppellita sotto strati di solitudine.

Sergio, un anziano cardiopatico, vive da solo e ha le sue abitudini: ogni momento della giornata è un rito seguito con rigore, destinato a ripetersi giorno dopo giorno. Una sera sente un rumore provenire dall’esterno della sua abitazione. Quando si affaccia, vede che probabilmente un gatto ha causato la caduta di un nido. Sergio lascia le cose come stanno e rientra in casa. L’indomani, tuttavia, la curiosità di vedere come si sia evoluta la situazione vince e Sergio esce di nuovo, per scoprire tutte le uova rotte, tranne uno. Toccato dalla scena, lo recupera e crea un nido con vecchi oggetti messi da parte – anche loro riportati per l’occasione a nuova vita – e riprodotto il clima ideale per la cova dell’uovo, lo colloca lì.

Quando il pulcino nasce, l’occhio della cinepresa ne assume la prospettiva, simulando i suoi movimenti mentre l’animaletto accetta il cibo da Sergio, lo insegue per i corridoi della casa e spicca il primo volo. Un invito rivolto allo spettatore a sperimentare un’immedesimazione insolita, ma di immediata efficacia e impatto. La brillante colonna sonora originale di Alfredo Capozzi sostiene questo gioco di identificazione nell’animale e ne riproduce i versi e il modo tutto suo in cui l’uccellino comunica con Sergio. A parte questo, tuttavia, il cortometraggio è muto e questa scelta permette di leggere il rapporto in una prospettiva che esula dal linguaggio umano e che indaga la comprensione reciproca tra uomo e animale.

Baby Bird mostra, senza aver bisogno di parole, che la cura degli altri e la cura di sé spesso, inaspettatamente, coincidono, si richiamano tra loro per effetto di una risonanza che è alla base di qualsiasi genere d’amore e qualsiasi forma di famiglia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Un cortometraggio che vede Cyro Rossi alla regia, ma anche nelle vesti di interprete di uno dei personaggi della storia, e la presenza importante di Flora Vona che ne è produttrice, attrice protagonista e soggettista. Una collaborazione fortunata, quella di queste due figure che si spendono in così tanti ruoli nella realizzazione del cortometraggio. Il risultato è una nitida incursione nella vita della protagonista, un’esplorazione acuta, capace di carpire dal quotidiano dei profondi tratti di umanità, ma allo stesso tempo l’occhio della cinepresa si dimostra anche in grado di rimanere al di qua della vista e di lasciare spazio al personaggio, perché sia lei, da sola, a perorare la sua causa.

Daniela è un’insegnante delle elementari. Ogni giorno cerca di coniugare il suo lavoro, il ruolo di mamma single di Riccardo e la sua passione per il canto che concretizza esibendosi in qualche locale. Il suo desiderio di rivendicare ciascuno di questi lati di sé le mette contro le madri dei suoi alunni e il preside, risentito per il rifiuto ricevuto quanto l’ha invitata a cena. Tutti sembrano voler incalzare Daniela a fare una scelta, ridimensionare le sue aspettative. La richiamano al buon senso e a inquadrarsi, una volta per tutte, in una categoria riconoscibile: o madre o lavoratrice, o seria o artista, o morigerata oppure, se non lo è, vuol dire che si offre.

Forte e significativa è la scena in cui Daniela parla al telefono con sua madre. L’amore non sempre mostra la strada per la comprensione e forse è quello il più difficile banco di prova per la protagonista, quello che rischia per un istante di mettere a repentaglio la tenacia con cui fino a quel momento ha difeso la sua identità.

Daniela, con il suo rossetto e i suoi vestiti appariscenti è una macchia di colore nel cuore di un mondo rappresentato con una fotografia fredda, un nucleo caldo che forse allude allo stesso “caldo buono” che suo figlio cita quando recita la poesia di Ungaretti. In questo contrasto tra l’essere umano che lotta per affermare il diritto di conservare tutte le sue connotazioni e l’arida ipocrisia di un mondo che gliele nega, risiede l’unico caso in cui il valore disgiuntivo diventa accettabile.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Valutazione attuale: 5 / 5

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Sulla scia di un ritmo vivace, di una fotografia a tinte brillanti e dei dialoghi che nel loro brio celano spesso un significato più ricco, il cortometraggio della giovane Noemi D’Ambrosi sa veicolare con insospettabile disinvoltura temi lievi e argomenti più profondi. La storia balza da un punto di vista all’altro seguendo un’alternanza serrata. Ogni momento si salda al precedente attraverso battute, riferimenti e parole chiave; in questo modo la regista mette in scena un’interessante rappresentazione non soltanto di contrasti, ma di conflitti che non possono conciliarsi finché le due narrazioni non convergono.

La storia è quella di Anna e Chiara, due giovani donne molto diverse: Chiara è appariscente, ammiccante, capace di lasciarsi andare con naturalezza al suo modo di essere matta, come la si sente definirsi spesso. Anna è riservata, parla con la psicologa della scuola con molte reticenze e non ama dar mostra in pubblico dei suoi slanci. A colmare il vuoto della sua voce che si ritrae nei pensieri, interviene una colonna sonora, sempre opportunamente collocata, che accompagna e suggerisce l’oscillazione delle sue emozioni. Anna accusa la difficile situazione del matrimonio burrascoso dei genitori, costellato di litigi frequenti e recriminazioni. Lei e Chiara frequentano Ludovico, che le ama entrambe perdutamente. Ma non è, questa, la sola cosa che le due hanno in comune. A unirle c’è un legame più profondo, a mezza via tra i poli opposti che i loro modi di essere rappresentano.

La difficile resa dei conti tra le due è il momento culminante del cortometraggio: ogni via di fuga viene sbarrata e i personaggi sono costretti a guardare nello specchio e a riconoscersi.

Come la psicologa della scuola spiega ad Anna in una delle prime scene, essere sé stessi non significa confinare la propria personalità in uno schema, ma fare un percorso per entrarvi in contatto e saper amare quel che si trova alla fine del viaggio. La regista, che firma la sceneggiatura insieme a Saverio Deodato e interpreta, inoltre, una delle due protagoniste insieme alla controparte Maria Malandrucco, presta allo spettatore uno sguardo registico in grado di cogliere il fascino sottile delle imperfezioni.