SorrisoDiverso

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CAPOLINEA di Saverio Deodato

Capolinea Locandina Un uomo al volante si racconta al suo passeggero: una confessione viscerale in mezzo al traffico romano. Deodato, nella doppia veste di attore e regista, porta sulle sue spalle un'opera originale e sanguigna, con un finale che guida verso un cambio di prospettiva e conduce a una riflessione quasi monicelliana sulla condizione dell'uomo.

 

 

 

FAULA di Massimiliano Nocco (Miglior Attore Young)

Faula LocandinaUna Sardegna aspra, selvaggia e pregna di tradizione è paesaggio dell'anima in questo corto sulla potenza della “faula” - la bugia -, in cui spicca il talento del piccolo Kevin Statzu, che contribuisce con una genuinità straordinaria alla forza visiva ed espressiva dell'opera.

 

 

 

 

 

 

IL CIOCCOLATINO di Rosario Petix

Il cioccolatino LocandinaDue donne, due generazioni, due nostalgie: riscoprire il conforto del ricordo grazie a un cioccolatino, aggrapparsi alla memoria come unica fonte di equilibrio. Un'opera intensa nella sua semplicità, che tocca corde diverse, raccontando la malinconia, il tenere nella mente e nel cuore gli affetti per non perdere sé stessi.

 

 

LA PERDITA di Alberto Marchiori

La Perdita Locandina Il dramma della solitudine degli anziani: questo cortometraggio tocca un problema attualissimo che genera emozione e sconforto. La protagonista ha il coraggio di chiedere aiuto dopo una vita passata a essere un incrollabile punto di riferimento, troverà inaspettate e salvifiche complicità dal quotidiano. Un'opera che, complice una messa in scena asciutta e rigorosa, restituisce tutta l'intensità emotiva di cui si fa portatrice.

 

 

 

 

 

ROBERTO di Carmen Cordoba Gonzalez

ROBERTO LocandinaRaccontare i disturbi del comportamento alimentare è sempre rischioso: Carmen Cordoba Gonzalez ci riesce alla perfezione, restituendo la sofferenza e le mille implicazioni di queste problematiche con un cortometraggio d'animazione delicato e commovente.

 

 

 

 

 

 

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La voce di Luca Grimaldi

La voce LocandinaEntrare nelle immagini spigolose di una narrativa in nero girata come un thriller su fondo blu è funzionale alla regia per far percepire allo spettatore un senso di malessere pervasivo e disturbante. Il blu possiede aspetti d’ombra importanti che, nel corto di Luca Grimaldi, descrivono un sentimento inquietante e delimitano lo spazio di un legame dove le mani, evidenziate in momenti diversi del film, sembrano essere le protagoniste assolute della relazione e in tal modo si caricano di significati. Un dettaglio che il regista illumina attraverso chiaroscuri, con efficaci soluzioni fotografiche e montaggio. Una relazione disfunzionale dove i personaggi sono scorticati dalla loro stessa sofferenza, come ombre indissociabili dal loro corpo, eppure surreali. Ricordi scomodi, simbolismi, memorie, in quel blu che evoca la figura materna del protagonista maschile, di cui la ragazza sembra essere la presenza reincarnata. Il regista sceglie di usare il monocolore per raccontare i vissuti dei protagonisti, connotando la narrazione di una straordinaria potenza evocativa. Nel cambio di stanza, il bagno di colore giallo, rimanda alla follia, all’insicurezza e fa assumere alle sequenze un tono inquietante, presagio di sventura. Nonostante i colori irreali e la scelta registica, assolutamente condivisibile, di non mostrare il colore del sangue, le scene sono connotate da un grande realismo percettivo. Solo nelle riprese esterne il regista utilizza tutti i colori; interno ed esterno divengono metafora di interiorità ed esteriorità attraverso la temporalità degli accadimenti. Con pochi elementi visivi e sonori il regista ci racconta infatti un incontro connotato di tenerezza per poi approdare ad un presente che sa di incubo. Meritevole di attenzione è anche l’uso della musica che conferisce espressività alle immagini senza alterarne il senso. Il contenuto emotivo dei suoni assume infatti diversa intensità in base ai diversi momenti e il campo visivo si fonde con quello sonoro. Le note cambiano il ritmo e si fanno ambiente, alternandosi al respiro del protagonista maschile, mentre la ragazza ha solo voce ma manca di respiro. Una ottima soluzione di regia per accompagnarci alle scene finali che sono come un pugno nello stomaco e rivelano la vera natura del rapporto.

 

The Quarantine Path di Davide Lomma

The Quarantine Path Locandina2Una favola ecologica e una rivoluzione che evidenzia un ecosistema virtuoso catturato con una fotocamera durante il periodo del lockdown. In un mondo frenetico e dominato dalla corsa, sono i momenti come questi che consentono di
riscoprire i veri valori della vita e permettono una riflessione a tutto tondo sulla possibilità di tutelare l’ambiente in cui viviamo, sull’inquinamento, sugli animali a rischio di estinzione che, proprio in questo periodo, sono tornati a popolare habitat considerati a rischio. Lontano da finti umanismi e dalla presunzione di insegnare qualcosa, il regista ci racconta una esperienza individuale e positiva in un momento complesso come quello che abbiamo attraversato. Un modo per affrontare il periodo di quarantena del Covid19 in maniera costruttiva, fra lockdown e zone rosse. Come la maggior parte della popolazione, una famiglia si trova a vivere molte ore in casa senza potersi allontanare oltre i 200 metri, ma è proprio in quel terreno, a pochi metri di distanza metri da casa, che il protagonista scoprirà nuovi mondi, facendo scoccare la scintilla che risveglia in lui e nei bambini la curiosità. Inizia a pulire il terreno e piazza una telecamera.
La trama si concentra sulla scoperta di un mondo sconosciuto che riannoda un legame spezzato, abbattendo la linea di confine che separa le specie animali dall’essere umano e incastona la vita a colori dei bambini con le storie di animali filmate in bianco e nero, restituendo allo spettatore un progetto globale della natura. Gli animali a quattro zampe diventano parte della vita della famiglia che abita in mezzo a corridoi ecologici in maniera reciprocamente autonoma. Davide Lomma ci offre straordinari ritratti di organismi viventi che coesistono sulla terra insieme all’uomo e una sensazione unica di amore e unione con la natura. “Ho cercato di ritrovare un legame spezzato da generazioni” dice il protagonista, in una delle scene del film della quale in maniera semplice e diretta propone una riflessione filosofica, teologica e scientifica. Lo fa uscendo da una posizione antropocentrica e ottusa, ma facendoci comprendere che
l’evoluzione non ha un piano e l’essere umano non è migliore delle altre specie. La visione panoramica dall’alto con una inquadratura larga che evidenzia le mappe e i percorsi delle specie animali fotografate e filmate fra i corridoi ecologici che si popolano di notte, enfatizza la coesistenza di un tutto che vale più della somma delle singole parti. La scelta del regista di proporre la storia di un padre con i figli, senza mai mostrarci una madre, ma evidenziando la madre terra, appare originale e azzeccata e apre a riflessioni tutt’altro che banali. “Ci sono tempeste che vedi arrivare da lontano ma quando arrivano portano quell’acqua che la terra stava aspettando da tanto tempo” dice ancora il protagonista, facendoci comprendere come non si debba sempre maledire un evento che ci coglie di sorpresa. Spesso dietro a quell’evento scopriamo il miracolo della natura che si risveglia e che invita a riscoprire gli spazi di un tempo, la terra, la condivisione, i ritmi naturali del vivere e il rispetto per tutto ciò che ci circonda.

 

Verdiana di Elena Beatrice e Daniele Lince

Verdiana LocandinaUna storia di sentimenti che invoca anche il rispetto per l’ambiente, dove Angela Finocchiaro, perfettamente nella parte, assume le connotazioni di un essere etereo: fata o stravagante signora, che ha il compito di salvare un rapporto di coppia. Una relazione connotata da inadeguatezza comunicativa dove i protagonisti sembrano non sentire ciò che dice l’altro e non riuscire a farsi comprendere, come dentro una bolla creativa all’interno della quale è racchiuso solo uno dei due membri della coppia, evocata dalla compagna di Michele, il protagonista. Il “non sento, non parlo” diviene una asfittica realtà e i due compagni, dopo una serie di visite specialistiche e controlli, giungono da una Maestra Zen vestita di bianco con un volto senza trucco che, concentrandosi sul respiro, accoglie serenamente i due e comprende ciò di cui hanno bisogno: una piantina. Una lezione che, in contrasto con le interiorità abbandonate in mezzo ad una
epoca di sollecitazioni sfrenate, indica loro un percorso che gli permetta di riconnettersi con l’ambiente, rispettarlo e al tempo stesso, rispettare loro stessi. Non c’è superiorità di una cosa verso l’altra, anzi, abbiamo bisogno di entrambe e abbiamo bisogno di mantenerle entrambe in vita. Si trasformano i sentimenti e si trasformano i suoni e i colori utilizzati dai cineasti all’interno della struttura narrativa che ci accompagna a scoprire un semplice/grande nome: Natura. Le piante, esattamente come noi, attraverso le radici, hanno proprietà sensoriali e percepiscono informazioni sulla qualità dell’ambiente in cui viviamo. Elena Beatrice e Daniele Lince coppia nel lavoro e nella vita raccontano con delicatezza e originalità, senza scadere negli stereotipi, una deliziosa storia dall’incipit accattivante che permette a Luisa e Michele di ritrovare la complicità e, con essa, la voce e l’udito. I due, prima tristi, nervosi, inquieti e infelici, dopo la terapia Zen, scoprono che le piccole cose fanno parte dell’ecologia psichica e che i semi della serenità attecchiscono soltanto su un terreno concimato con affetto, altruismo, generosità, gentilezza.

 

 

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XXXVIII edizione di "Primo Piano sull'Autore - Festival Pianeta Donna - Il lungo e faticoso viaggio della Donna nella storia del Cinema"

 

Si è svolta il 25 giugno, presso La Casa del Cinema a Roma, la Premiazione della XXXVIII edizione di “Primo Piano sull’Autore – Festival Pianeta Donna – Il lungo e faticoso viaggio della Donna nella storia del Cinema”, storica rassegna che, introducendo una riflessione necessaria sul tema, premia i ruoli femminili nel cinema, oggi non più relegati a un solo lato della macchina da presa.

L’evento, ideato e diretto da Franco Mariotti, nelle giornate dell’8, 29, 30 e 31 marzo ha visto la presentazione di ventisette opere sulla piattaforma MyMovies.it.

Con Milena Vukotic nel ruolo di madrina e l’attrice Nadia Bengala come conduttrice, la Premiazione ha coronato un percorso attraverso una varietà di generi, formati, linguaggi narrativi, messaggi e interpretazioni cinematografiche disparati.

f1 pianeta donna

I Premi sono stati decretati da due giurie che si sono espresse rispettivamente su lavori nel formato del lungometraggio e del cortometraggio. Tra i giurati si ricordano Elizabeth Missland (presidente di giuria per i lungometraggi), Lidia Vitale (presidente di giuria per i cortometraggi), Janet De Nardis, Paola Dei, Catello Masullo, Massimo Nardin, Emma Nitti, Rossella Pozza e il direttore artistico del Festival ‘Tulipani di Seta Nera’, Paola Tassone.

Così composte, le giurie hanno premiato Alice Filippi per la Migliore Regia con il suo film “Sul più bello”; Emanuela Rossi e Claudio Corbucci per la Miglior Sceneggiatura in “Buio”; Ludovica Francesconi come Migliore Attrice in “Sul più bello”; mentre ha ricevuto una Menzione SpecialeAlida” di Mimmo Verdesca.

Il Premio Carlo Tagliabue, assegnato alla miglior opera prima di interesse sociale, promosso da AmaRcorD e da CSC – Centro Studi Cinematografici, è stato conferito dal Presidente del CSC Giancarlo Zappoli a Chiara Bellosi per “Palazzo di Giustizia”.

Il premio Miglior Corto è stato assegnato a Olga Torrico per “Gas station” (in foto Paola Tassone accanto alla vincitrice, foto di ©Marco Bonanni) e il Premio Narrazione&Innovazione a “Di chi è la terra” di Daniela Giordano, una vecchia conoscenza dei Tulipani dall’edizione 2020 del Festival.

Molti altri premi sono stati attribuiti ai ruoli grandi e piccoli che muovono l’ingranaggio cinematografico.

La figura della donna nel cinema, infatti, oggi non corrisponde più solo alla star che calca il set, ma è anche autrice, regista, sceneggiatrice, scenografa, costumista e truccatrice. Da immagine si fa voce e si esprime con un linguaggio proprio, veicolo di un’identità artistica che si sta ricavando uno spazio e riesce a reclamarlo anche grazie a Festival come questo.

Paola Tassone, come membro dei giurati per la sezione cortometraggi del Festival, con la sua esperienza nella valutazione di prodotti di audiovisivo breve che guardano alla promozione dello sviluppo sociale, non è solamente una voce attiva nel dibattito introdotto dal Festival, ma anche una figura rappresentativa del talento che si esprime e che dà forma alle idee.