Una regia e una scrittura firmate da Iole Masucci per 31 settimane, un racconto a più voci portato sullo schermo dalla solida interpretazione di Annalisa Direttore, Andrea De Bruyn e Carmine Borrino. Tre linee narrative indipendenti, tre punti di vista che raccontano la medesima situazione, sviluppata nel periodo di tempo citato dal titolo del corto. Ciascuna storia fa luce su una diversa angolazione della vicenda, ma nessuna è in grado, da sola, di completare il quadro. Questo avviene soltanto al momento della loro sovrapposizione, attraverso un contrappunto condotto sapientemente.
Una donna scende dall’auto con il suo trolley e si avvia verso il cancello di casa. Qualcuno la rincorre e quando lei – ma non lo spettatore – vede di chi si tratta, il suo volto viene attraversato da dolore e angoscia insieme. Ma bisogna fare un passo indietro, a trentuno settimane prima. Giulia è la commessa di una libreria frequentata da Paolo, che la osserva in disparte ma con insistenza e da Flavio, che invece riesce a farsi avanti e conquistarla. Inizia tra loro una relazione che porta, poi, a una convivenza. La loro sintonia sembra perfetta. Qualcosa, tuttavia, interviene nella felicità di Giulia, insidiata continuamente da telefonate mute e regali recapitati senza indicazione del mittente. Paolo le chiede di parlare, insiste nell’offrirle il suo aiuto, ma Giulia lo allontana. Oltre a questo, anche sul fronte della relazione con Flavio si affacciano nubi di tempesta. Giulia non riesce più a disincagliarsi dal pantano della scomoda vicinanza di figure che, da alleate, assumono sempre più le sembianze di oppressori.
Iole Masucci riesce a ideare una formula diretta, mai banale, per affrontare un tema oggi molto discusso: l’abuso spacciato per amore. Lo fa elaborando una trama appesa al filo del dubbio, mediante l’incastro delle esperienze di personaggi il cui ruolo nella storia è inizialmente il mistero che anima un tono narrativo sconfinante nel genere thriller.
Una nota di particolare merito va alla scena finale, forte di una scrittura magistrale ma anche delle performance degli attori, capaci di suggerire le dense implicazioni che passano per uno scambio di sguardi. Una maschera di umanità quasi riesce a far dimenticare allo spettatore che dietro si cela il carnefice e ancora una volta questa illusione riesce a strappare alla vittima l’ultimo, fatale lampo di amore e di indulgenza.