SorrisoDiverso

RECENSIONE: NINA di Sabina Pariante

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Nina è il racconto della vendetta di una donna contro l’uomo che, dieci anni prima, ha rovinato la sua vita incastrando il padre, Roberto Lombardo, uno dei due fondatori dello Stabilimento di Sviluppo e Stampa di Pellicola Loma.

L’intera narrazione si compone di tessere relative ad un prima e un adesso che, alternandosi ordinatamente, ci consentono di dare senso all’oggi attraverso il rapido intrecciarsi e ricostruirsi delle vicende del passato.

Il cortometraggio si apre in una zona industrializzata nell’Italia degli anni ’30, all’interno di un bordello in cui vediamo la protagonista apparire sola, spaesata ma nell’atto di mettere in scena il piano che la porterà, non solo al conseguimento del proprio obbiettivo, ma soprattutto al raggiungimento della propria evoluzione personale e psicologica come persona e come donna. Se la scena ha inizio in un luogo non storico e non identitario, seguendo l’evoluzione del personaggio, il tempo della storia si fa subito estremamente connotativo: il buio della notte, dell’oscurantismo della dittatura fascista, della menzogna e della vendetta. L’oscurità, sottolineata dall’atmosfera noir del corto, suggerisce l’impossibilità di vedere e comprendere con razionalità e dunque la possibilità dell’errore. Al contrario, la bellezza e luminosità della protagonista evoca l’immagine di un corpo e di un animo governati dalla luce della razionalità.

Si può senz’altro affermare, per concludere, che il cortometraggio, per niente banale, riesce nell’intento di far riflettere; sospende e decostruisce la logica e il senso comune che vogliono la donna fragile e insicura; lasciando altresì lo spettatore a interrogarsi sul senso della giustizia e sul limite entro il quale è giusto spingersi per ottenerla.

 

 

 

 

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