Il silenzio regna nella vita della famiglia protagonista del cortometraggio, dove un padre padrone obbliga la moglie e le figlie a non proferire parola e a vivere nella completa devozione religiosa
Secondo diverse forme integraliste di religiosità, il silenzio fa sentire il devoto più vicino al divino; è per definizione indeterminazione, illimitatezza, evoca e non turba il sacro con la vanità di parole che rivendicano la presenza umana sulla Terra, allontanando l’uomo da Dio. Il silenzio sarebbe dunque un mezzo indispensabile che toglie dall’esistenza quanto l’appesantisce, vale a dire ciò che ostacola la vita spirituale o interiore, e che dunque costituisce un ostacolo per la preghiera. Il silenzio è ripiegamento interiore che si oppone alla superficiale esteriorità. E questo l’austerità della pellicola, con i suoi colori e le inquadrature severe, lo evidenzia perfettamente.
Quello che il cortometraggio mette in scena è il dramma di chi è vittima di imposizioni assurde ed è costretto a vivere in condizioni di radicale privazione. Ma Hush non è solo la storia di una vita vissuta in religioso silenzio, ma soprattutto quella di una quieta ma rivoluzionaria resistenza di chi rivendica a qualsiasi costo il proprio diritto alla felicità.