SorrisoDiverso

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Alessia Scali che nel corto L’Albero di Ciliegie riveste il ruolo di regista, sceneggiatrice e produttrice, raccoglie la sfida di raccontare il modo in cui la memoria edifica la realtà giorno per giorno e la distorce quando viene intaccata dalla malattia. A quel punto i volti si sovrappongono, i capitoli della vita si mescolano e si trasformano in un sogno che diviene l’unico palcoscenico su cui vanno in scena gli anni a venire. Se da un lato l’incongruenza generata dagli effetti dell’Alzheimer porterebbe la maggior parte delle persone a respingerne le assurdità, dall’altro c’è chi, come la protagonista del cortometraggio, sceglie di stare al gioco per poter fare ancora parte del mondo del malato, ma anche per non lasciarlo solo a vagare nel sogno dentro cui vive.

Il cortometraggio si apre su un uomo anziano che lavora alla realizzazione di un carillon. Dopo averlo ultimato, lo apre e la figurina della ballerina che gira su sé stessa, accompagnata dalla musica, rievoca in lui il ricordo di una donna danzante. Nelle scene successive lo stesso uomo appare dentro casa sua alle prese con i problemi che i più semplici gesti sembrano creargli. Fortunatamente, però, non è solo. Qualcuno raggiunge casa sua, una donna. Prima di incontrare l’uomo si prepara con cura: cambia l’abito e il trucco e solo allora risponde al richiamo di lui che le si rivolge chiamandola “Mariuccia”. Le affettuose interazioni tra i due sottolineano il modo in cui piccoli dettagli come la musica del carillon e il sapore delle ciliegie riescano a far viaggiare la mente dell’uomo indietro nel tempo, attraverso i ricordi in cui è stato felice.

Un dettaglio visivo denso di significati è il gesto finale con cui la protagonista chiude la finestra, alludendo a un sipario che cala, tanto nella messinscena a cui ha dato vita per amore del malato, tanto per l’intrusione dello sguardo dello spettatore dentro una storia che si lascia osservare mentre, contemporaneamente, cerca di rammentarsi.

Nell’Albero di Ciliegie, l’autrice, con il sostegno della coinvolgente interpretazione dei due attori, Romolo Passini e Ramona Giraldi, riesce a sottolineare il peso cruciale della memoria e il modo in cui i ricordi ricompongono non solo la storia ma anche l’identità del protagonista. L’affetto dei suoi cari lo preserva dall’abbandono e dalla solitudine, perché, benché i suoi ricordi si facciano con il tempo più confusi, c’è ancora chi di lui si rammenta. Alessia Scali riesce a mostrare con il suo delicato, breve racconto che anche lì dove la memoria sembra tradire, ancora una volta torna per salvare.

 

 

 

 

 

 

 

 

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Luca Grimaldi scrive e dirige La Voce con l’obiettivo di rintracciare una formula che, attraverso le immagini, sappia portare all’attenzione dello spettatore l’incubo dell’intrusione ossessiva di pensieri e compulsioni. L’esperimento riesce senz’altro e il regista ritrae i connotati di un’interiorità tormentata. Per farlo concepisce una struttura narrativa che accompagna lo spettatore verso un epilogo raggelante, in cui gli indizi convergono e il quadro appare chiaro e spaventoso. Come conseguenza di tutto questo, lo spettatore riesce a immedesimarsi in un genere di disturbo per il quale, normalmente, a causa dei suoi connotati illogici, risulterebbe difficile accedere alla chiave di comprensione.

Il protagonista è in ritardo, deve uscire in fretta di casa. Fuori lo aspetta l’auto che lo porterà a prendere un aereo per ragioni di lavoro. Ormai è pronto, ma qualcosa lo trattiene. La sua compagna resta immobile davanti al fornello, paralizzata dal timore di andarsene da lì senza la certezza assoluta di aver spento il gas. Il suo compagno prova a distoglierla, prima con dolcezza, poi con fare fermo. Ogni suo tentativo, tuttavia, inciampa in un nuovo incidente, un nuovo gesto su cui la sua compagna si blocca, impossibilitata a procedere prima di aver rimosso metodicamente l’origine delle sue preoccupazioni. Il tempo, tuttavia, passa in fretta e l’uomo non è ancora uscito di casa. Il clacson suona dall’esterno dell’abitazione. L’uomo sta perdendo la pazienza: questo stile di vita lo sta privando di tutto quello che ha a cuore e non riesce a trovare un modo per coniugare il benessere della compagna con la necessità di avere una vita normale. Alla fine, l’ennesimo incidente porterà a una conclusione tragica e inaspettata e alla consapevolezza finale dello spettatore.

La scrittura di Luca Grimaldi è capace di tenere la presa su diversi, fondamentali dettagli per indirizzare lo spettatore verso un modo di intendere la trama che alla fine, inaspettatamente, ma con assoluta coerenza, si capovolge. La voce è un intruso che si mimetizza e al tempo stesso spicca all’interno del contesto monocromatico, lo sconvolge, in ragione di una fotografia pensata per sottintendere simbolismi articolati. Le musiche, a cura di Davide Marchi, contribuiscono a comunicare un profondo senso d’angoscia e di persecuzione, sentimenti messi in primo piano nel cortometraggio. I due attori, Luca Di Giovanni e Bianca Friscelli, riescono a calarsi alla perfezione nei due protagonisti che vicendevolmente e senza possibilità di scampo si trascinano, sempre più in profondità, nel cuore di una spirale senza uscita.

 

 

 

 

 

 

 

Valutazione attuale: 5 / 5

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Giuseppe Bucci firma regia e sceneggiatura per La Voce di Laura, un film corto in cui l’oggetto del titolo è il grande assente della storia. Perché Laura parla dall’altro capo di un telefono, ma non la si sente mai. Laura è l’amore che volta le spalle e non risponde più. L’amore, a sua volta, è una trappola dentro cui la protagonista si dibatte, ma a cui, una volta libera, tragicamente, ritorna. Il cortometraggio è sostenuto da uno struggente monologo e dall’interpretazione di un’unica attrice che riesce a raccontare, attraverso una conversazione al telefono, la sua parte nella storia e, contemporaneamente, ad alludere a quella di Laura – alle sue preoccupazioni, alle sue obiezioni, ai suoi rimproveri.

La protagonista si affretta a rispondere al telefono. Aveva atteso a lungo quella chiamata e ora che finalmente sente la voce di Laura, dall’altro capo, non può fare a meno di provare una disperata felicità e, al contempo, un profondo turbamento: tra loro, dopotutto, è finita. Ha messo da parte le sue cose, come promesso. È stata forte, le garantisce, e continuerà a esserlo. Questa maschera di risolutezza, tuttavia, crolla in fretta di fronte al dolore e alla delusione per la fine di un rapporto durato cinque anni. Laura è sposata, questo la protagonista lo sapeva, e poteva immaginare che un giorno sarebbe arrivato il momento, per lei, di fare una scelta. La scelta, alla fine, è stata quella di costruire una famiglia tradizionale, rinunciando ad andare incontro alle sfide che un futuro accanto a una donna l’avrebbe costretta ad affrontare. La conversazione al telefono prosegue tra agghiaccianti confessioni, recriminazioni, dolorose dichiarazioni d’amore – il riepilogo frenetico e sofferto della storia di una coppia e di un amore che forse non era pronto per finire.

Nel corto di Giuseppe Bucci lo spettatore incontra due protagoniste, una presente e l’altra invisibile, e contemporaneamente due generi diversi d’amanti, chi riesce dire addio e chi non può dimenticare quel che è stato e, peggio ancora, quello che avrebbe potuto essere. È la forza di questa frustrazione a trasparire dall’agile e sensibile scrittura di Giuseppe Bucci e dalla potente interpretazione di Rosaria De Cicco che per la sua performance ha meritato una Menzione Speciale durante la XIV edizione del Festival TSN. Una frustrazione che non trova risposta, ma vive in un’unica voce, la sola a ergersi al di sopra di un silenzio senza cuore.