SorrisoDiverso

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ITA - Sergio Milán cura regia, sceneggiatura e montaggio per il cortometraggio Saber Perder, un’opera in cui un interessante sistema di sovrapposizioni mette in relazione due modi diversi di “perdere” e una comune reazione. La ramificazione del significato e delle scene, intervallate nel cortometraggio per mezzo di un montaggio ragionato, delinea una struttura narrativa a incastro che non fa contrastare, piuttosto accosta dei momenti dalle diverse implicazioni. Il cortometraggio non contiene un grande numero di battute, affida i suoi messaggi ai volti degli attori e soprattutto ai suoni: un respiro affannato, infatti, apre il cortometraggio fin dai titoli di testa, anticipando le immagini. Con il suo emozionante lavoro Sergio Milán trova il sistema di legare le tappe di un percorso che suggella il legame tra nonno e nipote, accompagnando lo spettatore fino al loro ultimo momento insieme.

La scena si apre su un ospedale e l’occhio della macchina da presa trascina il pubblico all’interno di una stanza dove un uomo anziano in fin di vita respira con affanno, incosciente e collegato ai macchinari. Attorno a sé ha la sua famiglia e in particolare sua nipote, che resta al fianco del nonno nella parentesi di tempo in cui gli altri escono dalla stanza. A quel punto, la donna dà inizio a una sorta di gioco: segue il ritmo del respiro del nonno con il suo, trattiene il fiato quando inspira ed espira soltanto quando lo fa anche lui. Parallelamente si alternano scene del passato, a partire dall’infanzia della protagonista, fino al presente, che mostrano nonno e nipote intenti a giocare, perdendo e vincendo a turno, ma sempre, in ogni occasione, alimentando di gioco in gioco la loro complicità.

La sentita interpretazione di Beatriz Melgares nei panni della protagonista non può fare a meno di coinvolgere il pubblico e commuoverlo, specialmente quando sul suo volto appare un bellissimo sorriso tra le lacrime, che parla di una gioia grata per il tempo insieme, diviso tra vittorie e sconfitte.

Vincitore del premio Miglior Cortometraggio Straniero 2021, Saber Perder riesce a trainare nel petto della protagonista e, per mezzo di lei, dello spettatore, insieme al respiro, ricordi molto amati che scaldano, ma ardono anche, dolorosamente. Finché non si accetta di lasciarli andare, non per privarsene, ma come conseguenza di un movimento naturale e necessario. Il bello, ma anche il prezzo dell’essersi messi in gioco è dover perdere, prima o poi. Ma come il nonno ha insegnato a sua nipote, perdere va bene.

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ENG - Sergio Milán directs, writes, and edits Saber Perder, a short film in which an interesting system of superimpositions expresses two different ways of “losing” and, at the same time, only one reaction. The ramification of meanings and scenes, alternated in the short film through a reasoned editing, outlines a narrative structure that does not make in contrast, rather combines, different moments. The short film does not contain many lines, it entrusts its messages to the actors' facial expressions, and above all to the sounds: a labored breathing, in fact, opens the short film from the opening credits, anticipating the images. With his touching work Sergio Milán finds the way to describe the bond between grandfather and granddaughter, accompanying the public to their last moment together.

The scene opens on a hospital and the eye of the camera drags the audience into a room where there is an old man, breathless, unconscious, and connected to medical machinery. Around him there is his family and in particular his granddaughter, who stays by the grandfather's side in the interlude of time in which the others leave the room. At that point, the woman starts a new game: she follows the rhythm of the grandfather's breathing - she holds her breath when he inhales and exhales only when he does too. At the same time, scenes from the past alternate, starting from the woman’s childhood, up to the present, in which grandfather and granddaughter are intent on playing, losing, and winning, increasing game by game their complicity.

The heartfelt interpretation of Beatriz Melgares in the role of the protagonist captivates the audience and moves it, especially when a beautiful smile between tears appears on her face, which communicates a grateful joy for the time spent with her grandfather, between victories and defeats.

Winner of the Best Foreign Short Film 2021 award, Saber Perder manages to bring in the protagonist's chest and, through her, in the viewer's one too, in addition to the breath, beloved memories that warm the heart, but which also burn painfully, until she agrees to let them go, not to forget them, but for effect of a natural and necessary reflex. The beauty, but also the price of putting yourself in the game is having to lose, sooner or later. But as the grandfather taught his granddaughter, learning to lose is the most important lesson.

 

 

 

 

 

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Annarita Mangialardo è regista, sceneggiatrice e soggettista de L’Altra Metà dell’Amore, un cortometraggio su cui riversa una scrittura sensibile, al contempo dotata di un piglio risoluto. Con questi strumenti l’autrice riesce a rappresentare l’amore neonato al centro del cortometraggio e a difendere il suo diritto di esistere; lo fa con una narrazione da un lato in grado di accostarsi con gentilezza alla fragilità e dall’altro capace di assumere un tono reciso che nelle ultime scene del cortometraggio riscuote le coscienze.

Il personaggio principale è Sole, una ragazza fresca dell’esperienza dell’Erasmus, adesso di ritorno da Barcellona, dove è rimasta per sei mesi. La sua migliore amica, Giorgia, viene a prenderla dall’aeroporto ed è proprio a lei che Sole confessa la novità importante che ha portato con sé dal viaggio: ha conosciuto qualcuno. Si chiama Alex, vive in America ma è di origini italiane. A causa del fuso orario, Alex e Sole hanno concordato degli orari compatibili con i rispettivi ritmi in cui potersi sentire. Il rapporto deve quindi fare i conti con le difficoltà comportate dalla distanza, ma la coppia sembra solida e Sole è motivata a portare avanti la sua relazione. Durante la cena in cui Giorgia e Vito – il secondo degli amici più stretti di Sole – festeggiano il suo ritorno, emergono nuovi dettagli sull’identità della fiamma della protagonista.

Flavia Triggiani, che recita nei panni di Sole, con la sua mimica trasparente e con genuino trasporto, riesce a mostrare il cambiamento del suo personaggio dalla gioia iniziale, alla delusione, per arrivare alla costernazione. Altrettanto abili nel rappresentare il non semplice volto dell’incomprensione e dell’indolenza, i giovani Marica Girardi e Gianni Saracino offrono a loro volta una notevole prova interpretativa.

Radunando, nei momenti finali del corto, alcune delle scene precedentemente apparse e intervallandole agli stralci affascinanti della storia d’amore della protagonista, l’autrice riesce nell’intento di demistificare gli atti d’intolleranza che si celano dietro piccole e grandi storture nei comportamenti e nei discorsi. La tenerezza delle scene in cui Sole parla con Alex mostra con assoluta chiarezza l’autenticità del suo amore e permette allo spettatore di immedesimarsi nel suo desiderio di proteggere quel sentimento. L’empatia assente tra i personaggi che animano il corto viene quindi invocata nel pubblico, perché sia esso, alla fine, a colmare il divario dell’incomprensione attraverso uno sguardo capace di osservare, prendere consapevolezza e accettare.

 

 

 

 

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La regia di Marco Cassini e la sceneggiatura di Rosario Petìx portano sullo schermo una storia che con toni paradossali e un irriverente humor nero sottolinea l’imprevedibilità della vita, il modo in cui sembra prendersi gioco dei progetti, delle certezze e delle previsioni. Una nuova possibilità si apre per chi era sul punto di gettare la spugna e allo stesso tempo, in un istante, possono esaurirsi quelle di chi alla vita non avrebbe mai rinunciato. Si potrebbe parlare di fato o di Karma, quando si tratta dare senso a una sequenza di fortune alterne, ma in fondo le definizioni sono un modo come un altro di mantenere la presa su qualcosa di inafferrabile. Marco Cassini e Rosario Petìx riescono proprio in questo: reggono le redini della storia e al tempo stesso imprimono sulla pellicola la suggestione di una vita che, follemente, sfugge dalla penna che cerca di scriverla, dalle interpretazioni e finanche dal suo senso.

Il protagonista, Rosario, si trova sulla cima di un palazzo e non è solo. Accanto a lui appaiono prima una donna e poi un uomo che rappresentano le sue più recenti delusioni: la perdita del lavoro e il divorzio da sua moglie. Entrambe le visioni aggrediscono Rosario, affermano che la sua vita vale poco e senz’altro, incalzano, vale ancora meno lui come uomo e come individuo. Rosario a quel punto non ha più esitazioni. Le voci che gli ricordano i suoi fallimenti tacciono e nel silenzio acquisisce con lucidità la consapevolezza di ciò che gli resta da fare. Mentre avanza in direzione del vuoto, tuttavia, interviene un’altra persona che – fraintendendo la scena – crede di cogliere Rosario nel mezzo di un atto di vandalismo. Il successivo dialogo tra i due frustra il protagonista ma lo induce anche a parlare della vita e del modo in cui i momenti di sconforto alterano il senso del suo valore. Il finale lascia senz’altro sconcertati.

Il cortometraggio di Marco Cassini, scritto ma anche interpretato da Rosario Petìx, nei panni del protagonista, tratta con ironia la bellezza e la tragedia della vita. Questa duplicità, in fondo implicita anche nel titolo, L’Alternativa, che evoca la ramificazione, si esplica tra le altre cose nei diversi approcci alla vita rappresentati dai due protagonisti e nei loro destini paradossali. L’autore riesce a esprimere con maestria il senso di arbitrarietà di cui tratta il cortometraggio, con lo strumento del tono tragicomico: un paradosso che riflette quello della vita e la connota di un peso continuamente alternato alla leggerezza del riso.