SorrisoDiverso

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Scritto e diretto da Igor Maltagliati, Locked nasce da un’idea di Alina Person, che nel corto presta il suo volto a uno dei due personaggi protagonisti della storia. Il cortometraggio denuncia un fenomeno nato per effetto del lockdown e mette in evidenza uno degli aspetti assunti dalla pandemia di Coronavirus: l’aumento dei casi di femminicidio e violenza domestica durante la quarantena. Con uno sguardo registico che indugia fin dalle prime scene sugli interni di una casa e sui dettagli rivelatori del vivere quotidiano dei suoi abitanti, l’autore riesce a comunicarne la trasformazione da un luogo sicuro a una prigione nella quale va in scena l’incubo della protagonista.

Una giovane coppia si ritrova a convivere durante il periodo della quarantena. Le giornate ormai sono costellate di momenti di tensione, soprattutto per Matteo che non fa più nulla per mediare le sue reazioni nervose e via via sempre più aggressive. Per quanto la sua compagna si sforzi di assecondarlo e di placare la sua violenza, questa esplode per futili ragioni, al punto che Matteo è in procinto di compiere un gesto irreparabile. Fortunatamente si sveglia di soprassalto e realizza che si è trattato solamente di un incubo – la quarantena c’è ancora, ma tutto il resto per fortuna non è mai accaduto. Quel sogno sembra indurlo a rimettersi in riga e a impegnarsi per vivere serenamente la convivenza. Emerge, in questo modo, il volto umano di Matteo, benché in alcuni frangenti il suo lato violento minacci quasi di fare di nuovo la sua comparsa. Il finale inatteso lascia allo spettare un messaggio forte che lo raggiunge con una durezza inclemente e gli ricorda che non si può concedere nessun tipo di giustificazione di fronte alla prevaricazione e alla violenza.

I due attori protagonisti, Alina Person e Simone Gallo, si esibiscono in una performance recitativa non semplice, ma nella quale si calano con passione e impegno, mettendo in scena le dinamiche disfunzionali della coppia. Nelle ultime scene, è di nuovo la casa a raccontare – sotto le note di Casta Diva, di Vincenzo Bellini – il tipo di vita che è stata condotta al suo interno e a svelare ogni segreto dei suoi abitanti.

La realtà domestica passa da essere una parte della vita dei personaggi a racchiuderla, in un capovolgimento di prospettive che tuttavia non mantiene nessuna proporzione tra contenitore e contenuto. Gli equilibri, quindi, vengono meno tutt’a un tratto e uno spazio molto piccolo si ritrova a essere il mondo intero, il luogo dove si esprime il lato migliore e peggiore degli individui.

 

 

 

 

 

 

 

 

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Diretto da Antonio Miorin e scritto dal regista insieme a Fabrizio Nardi, L’Inversione dei Poli è il risultato della cooperazione di una squadra che è stata in grado di restare fedele in ogni aspetto – dal suono, alle musiche, alla fotografia, ai costumi – all’intensità e alle implicazioni delle atmosfere suggerite dal racconto. Le immagini rincorrono frequentemente l’allusione a una simmetria che invece di fondere i due lati della figura, evoca il confine che le separa. Dalla facciata dell’edificio con la fontana e la scultura del cervo, al letto matrimoniale, alle due ante di una porta, il tema del doppio che si tocca ma al tempo stesso si oppone, si replica in un interminabile, affascinante gioco di specchi.

Andrea e Serena sono insieme a una festa, ma in realtà si trovano distanti l’uno dall’altra. Questo, ironicamente, sembra valere anche per il loro rapporto, laddove la complicità che li aveva caratterizzati i primi tempi pare essersi ormai consumata. Andrea, dopo essersi accidentalmente imbattuto in Ettore, uno degli invitati alla festa, cerca Serena e la trova che danza, da sola. Prima che possa raggiungerla, Lilly lo anticipa e va da lei. È una figura affusolata e magnetica, quella della donna, che col suo passaggio dilania la scena e la coscienza di Andrea. Tutto inizia proprio a partire da quel momento. Mentre lui non riesce a ripristinare il suo legame con Serena, Lilly appare sempre più spesso – adocchia Andrea da diverse angolazioni, sembra quasi disprezzarne l’inettitudine. Gli eventi sono sul punto di precipitare e Andrea è chiamato a prendersi quello che, in cuor suo, desidera davvero e l’unico modo per farlo è occupare lo spazio del lato opposto di questa simmetria divisiva che costantemente gli resiste.

L’opposizione tra i generi, che essi siano rappresentati da persone reali o da incarnazioni degli archetipi, è centrale nel cortometraggio di Antonio Miorin e viene indagata dalla scrittura congiunta del regista e di Fabrizio Nardi, con maestria. Con la sua fotografia ricca di contrasti tra ombre ed elementi sottolineati da colori intensi, con un sonoro che intercetta l’intermittenza dei respiri e con le musiche che assumono la frequenza delle vibrazioni, il cortometraggio è pervaso di un senso di profondità, ma soprattutto d’intimità.

Marco Cacciapuoti nei panni di Andrea, Diane Patierno in quelli di Serena, Alessandro Palladino e Natalia Kalinowska, rispettivamente Ettore e Lilly, danzano con grazia sul filo dell’ambiguità del corto, corroborandone l’intento di bandire la lettura logica e lineare delle vicende, per entrare nel mondo dei sensi. Nel corto di Antonio Miorin pulsioni afferenti a un mondo sotterraneo, riscoperto gradualmente ma con urgenza, premono dall’interno contro la pelle ed esigono la trasformazione.

 

 

 

 

 

 

 

Valutazione attuale: 5 / 5

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Con Andrea Baglio alla regia ed Elena Vettori a firmare soggetto e sceneggiatura, L’Immagine allo Specchio è un’esplorazione che penetra con occhio indiscreto nella quotidianità della protagonista. Lo sguardo furtivo con il quale la regia si accosta alla sua storia rovista nel suo mondo, nelle frustrazioni e le umiliazioni di tutti i giorni, mentre la narrazione, a tentoni, cerca la vena giusta da colpire per spaccare il guscio che separa il personaggio principale da un autentico contatto con la vita. L’obiettivo viene raggiunto attraverso scene che innestano all’interno di contesti realistici dei tratti surreali, allusioni di grande effetto alla necessità di liberazione della protagonista.

Aida lavora come commessa in un supermercato, intrappolata in un meccanismo ripetitivo che ogni giorno, dal mattino la traina fino alla fine del suo turno di lavoro, nelle ore serali. Aida non ha altra scelta se non quella di abbandonarsi per necessità a questo motore che attraversa i giorni e il tempo al posto suo. Lo spettatore la scorge mentre arranca tra gli imprevisti quotidiani – una sveglia che suona tardi, un autobus perso, lo scontento dei colleghi, i rimproveri del direttore – fino al supermercato in cui lavora. Un ambiente in cui sonoro e fotografia cooperano per suggerire un’atmosfera artefatta che appiattisce lo scorrere del tempo e lo scandisce con il suono dello scanner del codice a barre. Aida evita gli specchi, ma quando le succede di inciampare nella sua immagine non può fare a meno di studiarla per ritrovare la persona, al di là della commessa costantemente sul confine del suo senso di inadeguatezza.

Il personaggio, che Elena Vettori scrive e interpreta con grande capacità e coinvolgimento, sfugge dallo specchio ma anche dalla macchina da presa, che è costretta a cogliere frammenti della sua vita e indizi dei sentimenti che prova, osservandola da angolazioni nascoste, o da lontano. Andrea Baglio – anche attore di uno dei personaggi del corto – architetta con metodo una regia che riesce a rappresentare sapientemente il senso di rifiuto di Aida per la sua immagine e il suo ruolo.

Un momento culminante, di forte impatto è senza dubbio rappresentato dalla scena in cui la musica ascoltata con gli auricolari dalla protagonista, metafora di un caos interiore inudibile dall’esterno, esplode all’improvviso fuori di lei. Una luce che parrebbe quasi irradiata dallo stesso personaggio spazza via il grigiore dal suo mondo, in una magnifica sequenza, espressione di un’interiorità finalmente lasciata priva di vincoli.