SorrisoDiverso

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Paura è un cortometraggio per cui Paolo Paparella cura regia, sceneggiatura, riprese, montaggio e audio. Un lavoro, quindi, che porta la sua firma nel concetto, nello sguardo, fino a coinvolgere i meccanismi della realizzazione del corto. In soli tre minuti, l’autore riesce a condensare un messaggio che attecchisce, grazie anche a uno studio delle immagini e all’impiego di espedienti in grado di trasmettere le sottili implicazioni del racconto. Al centro del corto, ancor più dei personaggi, c’è una voce e il monologo mentale che esprime, mentre i protagonisti si rivolgono sguardi furtivi.

Due scale mobili si affiancano, conducendo tre figure – una coppia e una donna sola – su percorsi paralleli e in direzioni opposte. La voce dei pensieri di una donna accompagna questo lento percorso, lasciando libero sfogo alle sue paure. La donna teme di esprimere l’attrazione che prova per le persone del suo stesso sesso. Ha paura della pubblica disapprovazione, specie se accompagnata ad atti di consapevole crudeltà. Per un breve momento la protagonista pare ribellarsi ai suoi stessi freni e, in cuor suo, afferma di non sentirsi sbagliata, di non pensare affatto di rappresentare una contraddizione di quella natura che in lei, piuttosto, si esprime in una delle sue forme più belle. Le due donne, da un lato all’altro delle scale mobili si guardano, per il frangente in cui si affiancano, ma si separano poco dopo, con l’ineluttabilità delle occasioni perse.

La scena in cui trovano espressione le fantasie della protagonista che, per un momento, nella sua mente, rende possibile l’incontro tra lei e l’altra donna, è fatta di immagini rese con colori saturi, quasi incandescenti, come a sottolineare l’impossibilità di afferrarle, di cavarle fuori dall’immaginazione e renderle reali, a meno di provare dolore.

La colonna sonora originale di Massimiliano Lazzaretti commenta perfettamente il viaggio nell’introspezione dei protagonisti del cortometraggio, seguendo con coerenza l’oscillazione tra la morsa dei timori e il senso di liberazione che accompagna le fantasie della protagonista. Con le loro espressioni silenti, inoltre, Maria Vittoria Pittore e Chiara Tascione, che prestano il volto alle due protagoniste del corto, riescono a trasmettere al pubblico il mistero di un mondo interiore che si svela solo a metà e per il resto si cela. Tra sguardi che si allungano l’uno verso l’altro e si ritirano per timore, i due personaggi si perdono. Malgrado il titolo, questo non avviene soltanto per mancanza di coraggio, perché in un mondo che non concede fino in fondo la libertà, la strada su cui le due posano i piedi si muove per loro e le trascina lontane dai loro desideri.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Diretto e scritto da Dino Lopardo, Partecipare rappresenta uno dei tasselli che compone il mosaico del periodo dell’emergenza sanitaria Covid-19 e mette in luce uno dei suoi aspetti più strazianti: la sospensione dei riti funebri. L’omissione di un vero e proprio momento di congedo diventa centrale nel cortometraggio, il quale punta l’attenzione dello spettatore su un vuoto di difficile rappresentazione, sul tema di una tragedia che rimane senza epilogo. Lo fa per mezzo di immagini quasi statiche: un sinistro album dedicato a un evento mai celebrato. Le soluzioni ingegnose della regia riescono a mettere in risalto e a rappresentare visivamente il peso di un gesto mancato, di una sofferenza a cui non segue il conforto.

Angela viene colpita dalla tragedia di un lutto. I suoi giorni sono attraversati da un’atmosfera funerea che si proietta lungo il suo avvenire senza una vera destinazione, senza una data da segnare sul calendario per mettere il punto. Angela non riesce a deporla, la morte, a seppellirla e le rimane, quindi, addosso. Si avvicendano scene surreali, tentativi da parte della protagonista di compensare il senso di incompletezza con una riproduzione del rito, ma ne ottiene un risultato posticcio: le lacrime sono finte, le condoglianze solo immaginate. La sua figura davanti alla chiesa è al centro di un’indissipabile solitudine, tale che alla fine la sovrasta e dalla scena svanisce persino lei. Un’ultima immagine rimarca l’importanza del contatto con quello che resta, si trattasse anche solo del corpo.

Una scena di particolare effetto si apre a partire da un’oscurità su cui, poi, irrompono le immagini di due specchi che inquadrano la protagonista. Nel suo riflesso Angela cerca i tratti del lutto: la sua immagine, attraverso le diverse prospettive in cui è rispecchiata, tuttavia, è scomposta, come scomposta è la sua sofferenza, che non trova la sua sintesi in un contesto in cui poter dire addio.

Jole Franco veste i panni dell’unico personaggio presente all’interno del cortometraggio e da sola accompagna il pubblico attraverso le scene intense concepite dall’autore, dimostrando una grande capacità di sostenerne il dramma che permea la storia. La sua interpretazione è accompagnata dalle musiche a cura di Salvatore Iaia e da una fotografia, diretta da Giuseppe Salviulo, che ricalca con assoluta coerenza il tema e proietta su tutte le immagini l’atmosfera di un funerale, ora onnipresente, ora negato, a intermittenza.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Scritto e diretto da Paolo Inglese, Non Me L’Aspettavo è un cortometraggio muto che raggiunge la sua efficacia comunicativa per mezzo di un ritmo brioso, dei sottofondi musicali introdotti sempre in modo appropriato, delle espressioni degli attori e dalle loro azioni. Nell’arco di un breve minutaggio, l’autore riesce a sottoporre al pubblico una storia che serba un inaspettato risvolto finale, con ironia.

La protagonista guida la sua auto attraverso delle strade di campagna. Il suo viaggio procede serenamente finché la macchina non si ferma in mezzo al nulla. Per di più, scendendo dall’auto, la donna si strappa la gonna e, ancora più esposta al pericolo di quanto non lo fosse prima, comincia a ragionare sul da farsi per cavarsi fuori dalla spiacevole situazione in cui si è ritrovata. Nel frattempo, su quella stessa strada viaggiano tre uomini che nel vedere la donna, in déshabillé e con l’auto ferma sul bordo strada, accostano a loro volta e le si avvicinano. Sono tre ceffi dall’aria poco raccomandabile. Per qualche istante soppesano la donna davanti a loro e finalmente decidono il da farsi. Il finale si rivelerà, per lo spettatore, molto diverso da ciò che potrebbe aspettarsi.

La fotografia a cura di Rosario Bonsangue, coinvolge ambienti ampi e naturali e dà risalto a colori brillanti, con un’attenzione particolare per il rosso, prevalentemente accostato alla protagonista. La scelta attenta della colonna sonora e una regia che indugia con attenzione sulle espressioni dei protagonisti allo scopo di sospendere fino all’ultimo il dubbio sul seguito dell’episodio, sono tutti aspetti che cooperano per suggerire il tono vivace del cortometraggio. La vena ironica che lo caratterizza è sostenuta egregiamente dall’esilarante mimica degli attori: Martina Mirone nei panni della protagonista; Giuseppe Gagliostro, Otonel Perez Ozuma e Fabrizio Di Pietro nei panni dei tre nuovi arrivati.

Un cortometraggio arguto e divertente, quello di Paolo inglese, ma che, al tempo stesso, sa far riflettere sulla scarsa attendibilità delle prime impressioni e, per estensione, del pregiudizio. La riflessione introdotta raggiunge lo spettatore con grande naturalezza proprio grazie al taglio suggerito dalla regia, mantenuto sempre in perfetto equilibrio tra preoccupazione, serietà e una risata finale, un po’ di allegria un po’ di sollievo.