Scritto e diretto da Paolo Inglese, Non Me L’Aspettavo è un cortometraggio muto che raggiunge la sua efficacia comunicativa per mezzo di un ritmo brioso, dei sottofondi musicali introdotti sempre in modo appropriato, delle espressioni degli attori e dalle loro azioni. Nell’arco di un breve minutaggio, l’autore riesce a sottoporre al pubblico una storia che serba un inaspettato risvolto finale, con ironia.
La protagonista guida la sua auto attraverso delle strade di campagna. Il suo viaggio procede serenamente finché la macchina non si ferma in mezzo al nulla. Per di più, scendendo dall’auto, la donna si strappa la gonna e, ancora più esposta al pericolo di quanto non lo fosse prima, comincia a ragionare sul da farsi per cavarsi fuori dalla spiacevole situazione in cui si è ritrovata. Nel frattempo, su quella stessa strada viaggiano tre uomini che nel vedere la donna, in déshabillé e con l’auto ferma sul bordo strada, accostano a loro volta e le si avvicinano. Sono tre ceffi dall’aria poco raccomandabile. Per qualche istante soppesano la donna davanti a loro e finalmente decidono il da farsi. Il finale si rivelerà, per lo spettatore, molto diverso da ciò che potrebbe aspettarsi.
La fotografia a cura di Rosario Bonsangue, coinvolge ambienti ampi e naturali e dà risalto a colori brillanti, con un’attenzione particolare per il rosso, prevalentemente accostato alla protagonista. La scelta attenta della colonna sonora e una regia che indugia con attenzione sulle espressioni dei protagonisti allo scopo di sospendere fino all’ultimo il dubbio sul seguito dell’episodio, sono tutti aspetti che cooperano per suggerire il tono vivace del cortometraggio. La vena ironica che lo caratterizza è sostenuta egregiamente dall’esilarante mimica degli attori: Martina Mirone nei panni della protagonista; Giuseppe Gagliostro, Otonel Perez Ozuma e Fabrizio Di Pietro nei panni dei tre nuovi arrivati.
Un cortometraggio arguto e divertente, quello di Paolo inglese, ma che, al tempo stesso, sa far riflettere sulla scarsa attendibilità delle prime impressioni e, per estensione, del pregiudizio. La riflessione introdotta raggiunge lo spettatore con grande naturalezza proprio grazie al taglio suggerito dalla regia, mantenuto sempre in perfetto equilibrio tra preoccupazione, serietà e una risata finale, un po’ di allegria un po’ di sollievo.