A curare regia e sceneggiatura del corto è Rosario Petìx che con tatto ed eleganza punta i riflettori sul tema dell’Alzheimer. L’autore si mostra capace di produrre una scrittura sottile e sensibile, di perlustrare i luoghi della memoria, di accostarsi con il racconto ai punti dolorosi in cui il passato, in apparenza, si sgretola senza lasciar traccia. Eppure, sul fondale di queste macerie appare quel che rimane dell’essere umano che, vanamente, cerca ancora il capo del filo – un sapore, per esempio – per seguirlo fino a ritrovare sé stesso. Quella architettata da Rosario Petìx e rappresentata con assoluta maestria dalle due attrici protagoniste è un’introspezione che serba un passato a cui nel corto si allude soltanto, un’intera vita oscurata dall’Alzheimer.
Giovanna è una figura solitaria che con il suo passaggio taglia lo sfondo di un grande parco. Siede su una panchina e attende. La raggiunge, poco dopo, Isa, una signora sulla settantina che chiede se può sedersi lì anche lei. Nel momento in cui le donne si accostano, lo spettatore si accorge immediatamente che qualcosa di invisibile le lega e le divide al tempo stesso. La più giovane delle due cerca di intavolare una conversazione e le offre dei cioccolatini dalla scatola che ha con sé. Sono i suoi preferiti, le rivela, e le richiamano sempre alla memoria dei ricordi cari. Isa accetta i cioccolatini e li ripone nella borsa, conservandoli per dopo. Giovanna cerca di spingere Isa a parlare di sé, ma lei fa fatica a ricordare, si arrabbia con sé stessa, si cerca disperatamente e si smarrisce di nuovo. Solo il finale svelerà se Giovanna sarà in grado di aiutarla e, contemporaneamente, di aiutare anche sé stessa.
La recitazione travolgente delle due attrici, Francesca Rettondini e Mariella Fenoglio, veicola attraverso una tensione struggente tutte le implicazioni di un passato che da una parte non dà tregua e dall’altra si nega, ritraendosi a ogni tentativo di afferrarlo. Il sapiente occhio della fotografia di Nino Celeste abbraccia uno sfondo ampio che circonda il cuore in cui si svolge il dialogo tra le protagoniste, la panchina, come a voler dare un ritratto della mente – grande per smarrirsi, convogliata in un solo piccolo fulcro, per ricordare.
Alla fine di questo percorso su due sentieri paralleli, irrimediabilmente disgiunti, Giovanna sembra comprendere che sebbene non riesca più a specchiarsi negli occhi di Isa, potrà sempre ripercorrere, se lo vuole, la strada per ritrovarla, se non fuori, almeno dentro di sé.