SorrisoDiverso

Valutazione attuale: 4 / 5

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“Agnes” è il nome del personaggio protagonista che da solo anima i sei minuti della pellicola. L’isolamento di questo nome nel titolo lapidario del cortometraggio, riflette quello della donna, la sola figura ad abitare la scena altrimenti vuota della sua casa.

La macchina da presa penetra nella solitudine di Agnes con una naturalezza tale, che allo spettatore pare quasi di spiare la silenziosa giornata di una donna assorbita da attività apparentemente ordinarie.

Madre single di Giuseppe, mentre si muove in casa sua, Agnes viene costantemente inseguita, in qualche modo, dal figlio assente, ma che le ricorda di sé attraverso i disegni sparsi per la casa e le fotografie, come a riprodurre nello spettatore la consapevolezza costante di quell’esistenza a cui Agnes deve dar conto.

Nel silenzio della scena germoglia l’empatia dello spettatore verso lo sconforto di Agnes che gradualmente assume i connotati della disperazione: le difficoltà a cui deve far fronte appaiono insostenibili.

Il tema del sacrificio emerge tutt’a un tratto, in una declinazione amara che non lascia spazio agli eroi, ma all’essere umano e al suo dolore: il sacrificio non è tale perché nobilita chi lo compie, ma perché lo addolora.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Valutazione attuale: 4 / 5

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In “Alleluia” la storia del giovanissimo protagonista, il chierichetto Mino, vede l’evoluzione e la risoluzione della sua parabola nell’arco di sette minuti di una pellicola quasi interamente muta e in bianco e nero. Ciò malgrado, l’eloquenza delle immagini riesce a colmare l’assenza di battute, colorare la scena, sfruttare il breve minutaggio con una struttura perfettamente conchiusa.

Mino è un chierichetto ed è in ritardo per la messa. Mentre si affretta a prepararsi, viene sorpreso da una sua coetanea incontrata per la prima volta. Quell’arrivo improvviso e la fretta, però, gli giocano un brutto scherzo: Mino urta un crocefisso che cade e si danneggia.

Offrendosi quella reciproca complicità che fa evolvere il mutismo della pellicola in un silenzio circospetto dall’effetto comico, i due bambini cercano di rimediare all’incidente, ma il finale li prenderà in contropiede. Solo loro sanno come sono andate veramente le cose, ma il segreto resta relegato all’avventura che i due hanno condiviso e attorno alla quale gli adulti gravitano, senza potervi accedere.

Il corto evoca il mondo dell’infanzia da una riserva nostalgica a cui qualsiasi spettatore potrebbe attingere e fa sì che esso emerga con l’aspetto di una cartolina.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Valutazione attuale: 5 / 5

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“Che fine ha fatto l’inciviltà?” ci racconta la storia di personaggi il cui nome resta sconosciuto per tutta la durata della pellicola ma che risultano talmente riconoscibili e familiari allo spettatore, che questi non sente la mancanza di una presentazione dettagliata.

Un ragazzo incrocia per la strada una bella ragazza diretta in biblioteca e cerca in ogni modo di attaccare bottone con lei, superando una serie apparentemente interminabile di ostacoli che con una puntualità disarmante lo allontanano dalla sua occasione.

La differenza è che il protagonista è un ragazzo sulla sedia a rotelle e le sue difficoltà sono rappresentate dalle premure di una signora accompagnata dalla nipotina che di volta in volta lo allontana dalla ragazza, per condurlo alle strutture e le postazioni destinate ai disabili, le quali, tuttavia, finiscono per alienargli non solo la compagnia della ragazza, ma anche quella dei suoi coetanei.

Il cortometraggio evolve in un’escalation divertente di occasioni sfumate, fino a culminare in un finale che attraverso i suoi connotati paradossali mette in luce un’inevitabile contraddizione. La storia, infatti, svela con intelligenza il contrasto tra la concreta esigenza di strutture e premure a tutela della disabilità e il punto di vista di chi proprio per queste percepisce un confine che lo allontana dal resto delle persone e da quanto è loro agilmente accessibile.

La tematica di per sé controversa arriva allo spettatore con grande chiarezza, grazie alla struttura rovesciata del cortometraggio già paventata nel titolo, che riesce a produrre nello spettatore un’immedesimazione altrimenti difficile con un linguaggio efficace e alla portata di tutti.