SorrisoDiverso

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È un piccolo episodio dalle grandi capacità di coinvolgimento: storia di lockdown, termine ormai desueto, asfaltato dall’ulteriore drammaticità dell’invasione russa in Ucraina.

È un pesciolino in vasca a fare da specchio riflesso della depressione da chiusura forzata di una coppia in un elegante appartamento. Un pesce di nome Attilio, (quasi come “il pesce di nome Wanda”, passato a Venezia nel lontano 1988) vive dunque la sua quarantena come i suoi “padroni”, senza fissa meta. La stessa che ha obbligato milioni di persone a vivere in una bolla, in un seminterrato dell’anima, e dunque a fare i conti con se stessi. Siamo alle solite: la solitudine che incombe, la scarsa comunicabilità, e il dilemma di sempre: da dove veniamo, chi siamo, dove andiamo? Attilio sa di essere un pesciolino e decide di farla finita, facendosi inghiottire dal risucchio della vaschetta. L’estremo rimedio diventa fatalmente l’estrema visione della vita, sul filo sottile fra inizio e fine. Il pesciolino sa di essere una creatura vivente con pochi sbocchi vitali, mentre gli abitatori dell’appartamento sono altro da lui, sì, ma quanto?

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È un episodio be strutturato, nel montaggio come nella intersezionalità delle situazioni e dei protagonisti. Si amano a prescindere dal colore della pelle o dal loro genere. Questo almeno è quanto appare dalle effusioni che si trasmettono. Le vicende umane si dilatano e si confrontano nel perimetro di una metropoli. Pur avendo un legame particolare alla comunità afroqueer, la serie rimane un esempio estetico di eccentricità, con la disinvoltura dei protagonisti avvinti da un proprio credo che è più di una convinzione o condizione di vita. Una varietà di personaggi mostra al contempo una pluralità di culture, generi e orientamenti sessuali: visibilità, diversità, creazione sono le parole chiave di Extranostro.

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In Pappo e Bucco c’è Zampanò e Gelsomina e c'è Fellini, c'è Umberto D. e la piccola circense del capolavoro "De eso no se habla" della Bemberg. Il film di Losito è un capolavoro di gioia pur nel dolore e nella caducità del corpo che invecchia: due uomini che restano bambini nella solidarietà e nella piccola nascosta umanità, grazie al loro mestiere che è una missione. Vite concesse agli altri, ai bambini. Vite da clown che nel clown si replicano nella risata di un bambino, e persino la morte non è una sconfitta. La recitazione dei due attori è una lezione di cinema: misurati e attenti, stagliati nel gioco delle luci soffuse, come un crepuscolo. Ogni visione, ogni sequenza è un dipinto di freschezza, nonostante l'immanente buio.

Lo vedessero questo film i Putin e gli altri criminali del mondo, quelli che non sanno cosa sia il sorriso di un bambino, il sogno di uomini che conservano nel profondo quel Fanciullino che salverà il mondo.

La poesia di Danilo Dolci suggella per noi tutti questo film fatti di attimi, eterni.

"C'è chi insegna

guidando gli altri come cavalli

passo per passo:

forse c'è chi si sente soddisfatto

così guidato.

C'è chi insegna lodando

quanto trova di buono e divertendo:

c'è pure chi si sente soddisfatto

essendo incoraggiato.

C'è pure chi educa, senza nascondere

l'assurdo ch'è nel mondo, aperto ad ogni

sviluppo ma cercando

d'essere franco all'altro come a sé,

sognando gli altri come ora non sono:

ciascuno cresce solo se sognato."

(Danilo Dolci)