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Recensione: The Quarantine Path

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A costituire i cardini del cortometraggio ci sono due figure principali, presenti in quasi tutte le sue parti: Davide Lomma, regista, cameraman, montatore e co-sceneggiatore e Francesco Furiassi che scrive il cortometraggio, ne idea il soggetto e interpreta il personaggio protagonista. La collaborazione tra i due produce un’opera che sa spostare la prospettiva antropocentrica in un periodo storico, quello della quarantena stabilita per far fronte al Covid-19, in cui l’essere umano più che mai si è occupato di sé stesso. Gli autori combinano le riprese effettuate con telecamere notturne a una narrazione accompagnata quasi interamente dalla voce fuori campo di Giacomo Treviglio che commenta quanto accade – nel mondo e dietro casa. L’opera mette in scena un percorso di consapevolezza che produce un effetto rassicurante anche di fronte alla peggiore delle minacce.

Le conseguenze dei contagi di Coronavirus portano a una repentina parabola di cambiamenti nella quotidianità delle persone e lo stesso vale per un padre e le sue figlie, costretti dalla quarantena vigente a restare chiusi in casa, salvo allontanarsi entro il raggio di duecento metri. Alle bambine non resta che inventarsi quanti più passatempi si possano praticare nello spazio a loro disposizione, per trascorrere serenamente il periodo del lockdown. Erigono così una piccola tenda indiana nel giardino. L’indomani, tuttavia, questa giace, smontata, al suolo. Il padre delle bambine indaga e scopre che nel terreno vicino casa sua ogni notte circolano degli animali. Con il loro passaggio, hanno tracciato sentieri che percorrono il verde circostante; vengono chiamati “corridoi ecologici” e sono la manifestazione della vita che va avanti.

I tre protagonisti, interpretati da Francesco Furiassi e dalle piccole Agata ed Ester rappresentano bene il passaggio da un momento di sconforto a un ritrovato sentimento di fiducia verso il futuro. La gioia con cui apprendono della vita animale che prospera attorno a loro contagia lo spettatore e lo aiuta a mettere in prospettiva quello che, pur rappresentando un momento critico per l’essere umano, ha comportato la riconquista da parte degli animali degli spazi da cui erano stati esiliati.

Un mondo che sembrava essere diventato minuscolo si manifesta, invece, in tutta la sua bellezza, mostrando come la strada della natura prosegua anche lì dove quella dell’essere umano si ferma. La prospettiva del protagonista, pertanto, invece di essere ridotta dal confinamento, diventa più ampia e in una scena particolarmente bella, lo spettatore lo vede guardare verso un orizzonte sconfinato. Il tragitto dell’uomo si riallaccia, così, a quello degli altri esseri viventi, forse saldato di nuovo a una rete tanto più solida tanto più le sue parti si tessono tra loro.