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RECENSIONE: NEMO PROPHETA di David Cinnella

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Marco riceve una telefonata da sua madre, ma ha fretta di riattaccare, perché è seduto in una sala d’attesa e a momenti inizierà il suo colloquio con un produttore famoso.

Immerso nell’atmosfera seriosa di occasioni formali come quella Marco appare un po’ goffo, ma ogni traccia di impaccio svanisce, quando ha finalmente occasione di entrare nel suo elemento e di parlare di quello che ama: il cinema. L’argomento lo riscuote e lo rinvigorisce: lì non ha incertezze, perché quello è il lavoro che ama. Marco, infatti, è un giovane regista, diplomato da soli due anni, durante i quali ha lavorato instancabilmente a molti progetti, riscontrando anche un discreto successo.

Il punto forte dei suoi lavori non sta tanto in un grande budget, ma nella creatività e nell’originalità delle storie che ha messo su schermo. Il colloquio ha inizio e Marco descrive il suo percorso, parla di tutto ciò che ha realizzato e di quello che spera di poter produrre in futuro. L’entusiasmo con cui argomenta tutto questo, tuttavia, si spegne pian piano, quando realizza che l’esposizione dei suoi sforzi lavorativi, riscuote un’accoglienza tiepida nell’uomo che siede dietro la scrivania.

Marco non ha le carte in regola per passare al livello successivo e ottenere l’attenzione di una grande produzione: non proviene dall’ambiente giusto, non ha le conoscenze né le parentele necessarie; insomma, non può sperare di essere preso in considerazione in un ambiente in cui il discrimine tra chi emerge e chi no non è il talento.

Nemo Propheta è una critica esplicita e senza peli sulla lingua nei confronti di un sistema malfunzionante, incapace di investire sul futuro e sulle capacità di coloro che non hanno la fortuna di avere un posto riservato, nel mondo.

Il dramma e il paradosso di questo racconto si consuma in un brevissimo episodio ed è affidato interamente alla recitazione degli attori, che nello spazio del colloquio di lavoro riescono a trasmettere l’entusiasmo smorzato e la rassegnazione, da un lato, e l’indifferenza e la venalità, dall’altro.

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