Diretto da Steven Renso e scritto da Alex Faccio, Routine catapulta lo spettatore nelle atmosfere diroccate di un futuro non troppo lontano, postulando la prospettiva distopica di un lockdown protratto da molti anni che ha cambiato il volto del mondo. Mettendo in atto un’analisi di come condizioni di estrema ristrettezza possano deformare la società, abbrutire la comunità e trasformarla in un’entità selvaggia, l’autore porta in scena il racconto della routine nata in conseguenza dei cambiamenti della quotidianità e delle nuove condizioni di esistenza a cui i cittadini sono sottoposti.
I due protagonisti si incontrano di nascosto in un magazzino abbandonato, tenendosi ben lontani dall’occhio vigile di chi esegue le ronde. Non è la prima volta che si vedono così, ma il loro non può certo dirsi un incontro di piacere. Sono lì per effettuare uno scambio: sigarette per dei viveri. L’occasione di questa compravendita diventa il fantasma di un’interazione sociale sulla quale i due protagonisti, loro malgrado, indugiano. Avviene tra loro un confronto su quello che è stato e quello che resta, sullo stile di vita a cui il nuovo ordine delle cose li costringe, al modo in cui arrancano faticosamente per accaparrarsi un giorno dopo l’altro.
Una fotografia curata, diretta da Graziano Guastella, cattura da angolazioni alternative i dettagli di scenari in rovina che insieme compongono, un elemento per volta, il ritratto del futuro concepito dall’autore. Gli spazi larghi e sgombri acuiscono l’idea di una presenza umana rarefatta, di occasioni di contatto tra gli individui sempre più sporadiche, di un tessuto sociale smagliato in cui il suono di un colpo di arma da fuoco in lontananza lascia intuire il destino del proprio vicino.
Quello messo in scena dall’autore è il tentativo insistente dei protagonisti, condotto attraverso il dialogo che rappresenta il nucleo del cortometraggio, di fare un bilancio del presente, di coniugarlo con un passato perduto. A ogni tentativo, tuttavia, i personaggi vedono la soluzione di questo contrasto scivolargli dalle mani. Non hanno più presa su un passato troppo lontano per essere ricordato e tantomeno su un presente che li ha esiliati e su cui non hanno alcun controllo. I due attori protagonisti, David White e Paolo Massaria, con la loro interpretazione disinvolta, con i dialoghi a cui prestano la voce, riescono a comunicare magistralmente il sentimento di disillusione, una visione della vita che è penetrata fino allo scheletro dell’esistenza, spolpata di ogni speranza e di ogni abbellimento. O quasi.