“Questa è la mia bici” si apre sullo scenario sgombro di un parco dove due bambini si scambiano scherzi e prese in giro dopo la scuola, in un familiare frangente di spensieratezza. Uno dei due pedala in circolo con la sua bicicletta, il secondo cerca di riparare la propria, studiando e provando a manipolare quel meccanismo all’apparenza così semplice e che tuttavia si rifiuta di funzionare a dovere.
Dopo un paio di scambi di battute, uno dei ragazzini comincia a incalzare l’amico ancora impegnato a riparare la bici e sulla scia delle reciproche provocazioni i due decidono di sfidarsi in una gara di velocità, malgrado la bicicletta danneggiata.
Nel corso della gara attraverso una sequenza scandita dall’affanno dei due protagonisti impegnati nello sforzo, veniamo a conoscenza della verità: il bambino con la bici rotta è affetto da diabete. La serietà della sua condizione irrompe nel clima inizialmente leggero della pellicola, potando lo spettatore alla consapevolezza e ad abbracciare un punto di vista inizialmente inaspettato. Attraverso di esso vediamo la vicinanza generata dalla complicità, tramutarsi in una distanza interminabile entro cui la figura del protagonista finisce con l’essere smarrita.
Tuttavia, se è vero che perdere la presa su un punto di vista di cui si ha scarsa cognizione può essere facile, questo aspetto può ancora essere medicato con l’informazione e la sensibilizzazione.